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Raimondo Schiavone – Nella notte della vigilia dell’anniversario della vittoria della Rivoluzione Islamica del 1979, il cielo di Teheran si illumina di fuochi d’artificio mentre dai tetti e dalle finestre risuona un grido che da 46 anni accompagna la storia della Repubblica Islamica: Allah’u Akbar (Dio è più grande).
Il 1979 segna uno spartiacque nella storia dell’Iran e del Medio Oriente. Dopo decenni di dominio del regime Pahlavi, sostenuto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati occidentali, il popolo iraniano, guidato dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, rovescia il trono dello Scià Reza Pahlavi in una rivoluzione senza precedenti.
La monarchia, con il suo apparato repressivo e il legame indissolubile con gli interessi statunitensi, viene travolta da una mobilitazione popolare fondata su un messaggio chiaro: sovranità, indipendenza e identità islamica. L’ideale della velayat-e faqih (governo del giureconsulto), che diventerà il pilastro della nuova Repubblica Islamica, si impone come alternativa all’egemonia occidentale.
Le immagini di quegli anni restano impresse nella memoria collettiva: milioni di persone scendono in piazza, scioperi paralizzano l’economia del paese e la voce di Khomeini, trasmessa da nastri registrati e diffusa clandestinamente, diventa la colonna sonora della rivolta. Il 1° febbraio 1979, Khomeini rientra dall’esilio a Parigi tra l’entusiasmo di una folla oceanica. Il 10 febbraio, la rivoluzione giunge al suo culmine: l’esercito si schiera con il popolo e il giorno successivo, l’11 febbraio, la monarchia crolla definitivamente.
Il nuovo Iran si afferma come una potenza regionale con una politica di netta opposizione agli Stati Uniti e a Israele. La rivoluzione, però, non è solo un evento interno: segna l’inizio di una sfida geopolitica che scuote l’intero scacchiere internazionale. L’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran nel novembre del 1979, con la crisi degli ostaggi che ne seguì, fu il primo segnale della nuova era di tensioni tra Iran e Occidente.
Nel corso dei decenni, l’Iran ha affrontato guerre, sanzioni e tentativi di isolamento. La guerra con l’Iraq (1980-1988), iniziata con l’invasione irachena sostenuta dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali, rafforzò il senso di resistenza nazionale. Nonostante le difficoltà economiche e politiche, la Repubblica Islamica ha consolidato la propria posizione, diventando un attore chiave nel Medio Oriente.
Tra le figure emblematiche dell’Iran post-rivoluzionario, spicca il nome di Haj Qasem Soleimani. Il generale, comandante della Forza Quds dei Pasdaran, è stato per anni il simbolo della resistenza iraniana contro l’influenza occidentale e il terrorismo jihadista.
Soleimani ha giocato un ruolo fondamentale nella lotta contro Daesh (ISIS) in Iraq e Siria, coordinando le operazioni che hanno portato alla sconfitta del gruppo terroristico. La sua abilità strategica e il suo carisma lo hanno reso un’icona non solo in Iran, ma anche tra le popolazioni sciite della regione.
Il 3 gennaio 2020, Soleimani viene assassinato in un attacco aereo statunitense nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, su ordine dell’allora presidente Donald Trump. La sua morte scatena un’ondata di indignazione in Iran e in tutto il Medio Oriente. Milioni di persone partecipano ai suoi funerali in uno degli eventi più imponenti della storia iraniana recente.
Oggi, a distanza di anni, il suo nome continua a risuonare nelle piazze iraniane e il suo lascito ispira le nuove generazioni. Ogni anno, nella notte della vigilia della Rivoluzione, il popolo iraniano non solo celebra la caduta dello Scià, ma rende omaggio a coloro che hanno sacrificato la propria vita per la causa della Repubblica Islamica.
La storia dell’Iran rivoluzionario è tutt’altro che conclusa. Il grido di Allah’u Akbar che risuona nelle strade di Teheran non è solo un ricordo del passato, ma un segnale di continuità: la Rivoluzione Islamica, 46 anni dopo, è ancora viva.