L’IS conquista in Libia il villaggio di Harawa


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(Salvatore Lazzara) – Stiamo perdendo la Libia nel silenzio compiacente dei potenti. Harawa è sotto il controllo dei fondamentalisti islamici. Il villaggio, anche se di piccole dimensioni, ha una “grandissima importanza strategica” in quanto sorge sull’unica strada che da ovest porta ai terminal petroliferi di As-Sidr e Ras Lanuf.  Oltre a Derna in Cirenaica, sul golfo della Sirte l’Isis già controlla l’omonimo capoluogo e Nawfaliyah, circa 70 chilometri di strada a est di Harawa. Già il mese scorso era stato obiettivo di un’incursione dei jihadisti che poi avevano decapitato in pubblico due miliziani locali. La notizia è stata diffusa dal governo libico. La città è sotto il completo controllo dei ribelli, così come tutti gli edifici del governo locale. Soltanto pochi giorni fa, lo Stato islamico si era impadronito di un aeroporto chiave nel cuore della Libia, la base aerea di al-Qardabiya, a Sirte, dopo l’abbandono della milizia locale. A riferirlo sono diverse fonti locali. Inoltre, sempre in Libia, i miliziani hanno rapito 86 migranti eritrei cristiani mentre erano in viaggio verso Tripoli. Tra i sequestrati figurano anche 12 donne e bambini.

Intanto, la direttrice della ong svedese Eritrean Initiative on Refugee Meron Estefanos,  che ha parlato con alcuni migranti che sono riusciti a fuggire dai miliziani dell’Isis -che volevano rapirli-, ha riferito che i jihadisti hanno separato i cristiani dai migranti musulmani e hanno lasciato questi ultimi liberi. Secondo quanto dichiarato da Estefanos, i migranti sono stati sottoposti a una sorta di test sul Corano per provare chi era musulmano e chi no. Chi non ha saputo rispendere alle domande dei miliziani dell’Isis è stato portato via

Dalla caduta di Gheddafi, la Libia non è mai stata un paese tranquillo, ma la situazione è precipitata durante l’estate dell’anno scorso. In seguito alle elezioni della primavera del 2014, il paese si è praticamente diviso in due: ad est si è stabilito un governo laico e riconosciuto dalla comunità internazionale. Ad ovest, nella capitale Tripoli, è sorto invece un secondo governo, guidato dai gruppi di ispirazione islamica che avevano vinto le elezioni del 2012. Si tratta di una coalizione “moderata”, nel senso che non rapiscono e decapitano a vista gli occidentali. Ognuno dei due governi è appoggiato da una coalizione di bande, milizie e signori della guerra locali la cui lealtà è spesso incerta e deve essere ogni giorno rafforzata con i proventi della vendita di gas e petrolio.

Di fatto, la Libia è uno stato fallito, dove non esiste più un potere centrale e dove l’autorità è esercitata, quando è esercitata, dalle milizie locali. Tra i due governi c’è una relazione molto complicata: i loro emissari si incontrano spesso ai tavoli delle trattative organizzati dagli inviati dell’ONU, ma trovare un accordo per un cessate il fuoco è reso complicato dal fatto che il controllo che i due governi esercitano sulle loro stesse milizie è molto labile. Nella confusione politica, la Libia è divenuta per lo Stato Islamico un paese strategicamente importante per realizzare i progetti di conquista. Al caos interno, si è aggiunto l’intervento esterno dei gruppi terroristici, capeggiati da miliziani dell’IS. A questo punto è lecito porgere a quanti detengono il potere: come mai nessuno interviene per aiutare la Libia a ritrovare l’equilibrio sociale, magari intervenendo come è stato fatto al tempo di Gheddafi?

 

 

 

 

 

 

 

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