(Giuseppe Agliastro) – Sul disastro aereo nei cieli del Sinai si allunga sempre di più l’ombra del terrorismo. A far esplodere l’aereo russo sarebbe stata una bomba piazzata dentro una valigia o un bagaglio a mano, secondo una fonte dei servizi d’intelligence statunitensi citata da Cnn, che ne attribuisce la responsabilità all’Isis o a qualche gruppo affiliato ad esso, ma precisa che su questa ipotesi non c’è ancora una conclusione formale della comunità dell’intelligence. E la Gran Bretagna, seguita poco dopo anche dall’Irlanda, ha deciso di sospendere tutti i suoi voli sulla penisola egiziana, condividendo il timore che sia stato «un ordigno» a causare la sciagura.
Lo stop riguarda i voli in arrivo e in partenza da Sharm el-Sheik, la popolare località turistica sul Mar Rosso da cui era decollato l’Airbus russo precipitato sabato con 224 persone a bordo. E arriva proprio mentre l’Isis torna a rivendicare la catastrofe con un messaggio audio online e un nuovo video di propaganda in cui avverte Putin che questo è solo l’inizio della vendetta per i raid russi in Siria.
Intanto una «fonte della commissione investigativa» citata dal portale egiziano Al-Masry Al-Youm sostiene che a causare la distruzione dell’aereo – avvenuta probabilmente in aria, secondo gli esperti russi – sia stata l’esplosione di un motore. Non è però ancora chiaro, spiega la stessa fonte, se questa esplosione sia da imputare a una bomba o a un guasto. Altri periti, citati questa volta da LifeNews, riferiscono che sui corpi dei passeggeri che erano seduti vicino alla coda sarebbero stati riscontrati «traumi esplosivi con ustioni multiple».
I dubbi però permangono visto che finora, secondo l’agenzia Ria Novosti, non sono state trovate tracce di esplosivo sui frammenti dell’aereo. Anche se le ricerche continuano. Ieri, inoltre, una fonte «ben informata» aveva dichiarato che «nelle registrazioni» prima «della sparizione dell’aereo dagli schermi dei radar» si sentono «suoni non consueti per un volo normale». Ma a mettere in dubbio queste affermazioni è il governo del Cairo, secondo cui il Cvr (Cockpit Voice Recorder) la scatola nera che registra le voci in cabina di pilotaggio, «è in parte danneggiato e ci vorrà molto lavoro per estrarne i dati».
Gli analisti per ora avanzano le più diverse congetture, che vanno dal guasto alla bomba nascosta nella stiva, dal cedimento strutturale all’esplosione di un motore o di un serbatoio di carburante. Ma il presidente egiziano, Abdul Fattah al-Sisi, continua a mostrarsi scettico sui crescenti sospetti di una matrice terroristica e bolla come «illazioni infondate» le ipotesi in tal senso.
La Casa Bianca ha precisato che un avviso della Federal Aviation Administration (Faa) all’aviazione civile su «rischi potenziali» di estremismo nel Sinai era già in atto mesi prima della sciagura. Mentre da parte sua l’Alitalia assicura che «nessuna sua rotta transita sopra il deserto del Sinai o altre zone di guerra». A pochi giorni dal primo annuncio – lanciato poche ore dopo lo schianto – in cui sostenevano di aver abbattuto l’Airbus, i jihadisti del Sinai sono tornati a rivendicare la catastrofe con un nuovo messaggio audio sul web in cui lanciano una sfida agli investigatori: «Controllate le scatole nere, visionate il relitto e provate a sostenere che non è stato abbattuto», dice la voce di un estremista, sostenendo che a far precipitare l’aereo sia stato un attacco terroristico sferrato nel primo anniversario del giuramento di fedeltà al Califfato da parte dello «Stato islamico della Provincia del Sinai».
E ancora: «Non siamo obbligati a svelarvi il modo in cui abbiamo abbattuto l’aereo, ma ve lo diremo solo quando e come vorremo noi». Molti esperti in realtà dubitano che i jihadisti egiziani abbiano potuto abbattere l’A-321 della Kogalymavia, almeno non con un missile: nel momento in cui è scomparso dai radar, l’aereo viaggiava infatti a quota 9.450 metri, un’altezza giudicata troppo elevata per i razzi a spalla di cui si sa che gli estremisti della zona sono in possesso. Tra le sabbie e le montagne della penisola del Sinai proseguono intanto le ricerche dei frammenti dell’Airbus e dei resti delle vittime.
Le squadre russe hanno già setacciato un’area vasta 30 chilometri quadrati attorno alla zona in cui si trovano i pezzi del relitto, e il ministro delle Situazioni di Emergenza di Mosca, Vladimir Puchkov, ha annunciato che le ricerche sono state estese in modo da coprire un’area di 40 chilometri quadrati. Anche con l’aiuto dei droni. A San Pietroburgo, la città dove era diretto l’aereo, continua il processo di identificazione delle vittime in un obitorio di corso Shafirovski. E – secondo i media – sono già state raccolte oltre 160mila firme per realizzare all’aeroporto Pulkovo un monumento alle 224 vittime del più grave disastro aereo della storia moderna russa: l’idea è quella di una statua della piccola Darina, una bambina di 10 mesi che ha perso la vita sul disgraziato volo 92-68, che tiene in mano un aeroplanino.