La mappa del voto al Fronte Nazionale e la Francia divisa in due


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(LIBERATION) – Negli show televisivi, i rappresentanti del FN si sono vantati di aver completato, domenica, la loro conquista del territorio. Finiti i risultati deludenti in Bretagna e nel Massivo Centrale, l’ondata blu-marino ha sommerso tutto. La cartografia, però, non da loro ragione. La ripartizione geografica del Fronte Nazionale è rimasta, tutto sommato, la stessa di sempre e lo scarto tra i dipartimenti che hanno dato un voto plebiscitario al FN e quelle che lo hanno, invece, rifiutato sono aumentati dal 2012: i due estremi, al primo turno delle presidenziali, erano del 6,2% a Parigi e del 27% nel Vaucluse. Adesso sono del 9,3% per Parigi e del 40% nel Pas-de-Calais. Il voto al Fronte Nazionale  non è esploso dappertutto allo stesso modo. Mentre la progressione generale in punti percentuale, sul totale dei voti espressi, è del 37% rispetto al primo turno delle presidenziali del 2012, è aumentato di più del 50% a Nord-Ovest: tutti i dipartimenti della alta e bassa Normandia e della Picardia (effetto della riforma regionale) e il Pas-de-Calais, come se l’influenza di Hénin-Beaumont si fosse estesa anche nei dintorni. Al contrario, il risultato cresce di meno del 30% in tre dei quattro dipartimenti bretoni, in una vasta zona che si estende dalla Savoia al Puy-de-Dome e della Saone-et-Loire nel Gard, così come in Alsazia e in Moselle. In queste regioni, dove il FN era, o poco radicato, o in regressione, tra le elezioni presidenziali del 2002 e del 2012, l’economia va meglio che nella media nazionale, la disoccupazione è meno elevata, la proporzione dei giovani senza diploma minore e la ripartizione dei redditi meno ineguale. Invece, i suffragi universali in favore degli eurofobi e euroscettici (FN, FG, Dupont-Aignan) raggiungono o sfiorano la maggioranza nelle regioni con una situazione economica peggiore, il nord della Francia, il Languedoc-Roussillon e la vallata della Garonne tra Tolosa e Bordeaux. Il voto di domenica segna, in effetti, la fine di un ciclo che ha visto la strategia di Marine Le Pen sostituirsi a quella di suo padre. Al posto del liberalismo economico e dell’anti-statalismo, la figlia punta allo stato sociale e al rinforzamento dello Stato. La prima clientela del Fronte assomigliava a quella del poujadismo di cui Jean-Marie è stato uno dei promotori. Lei aveva maggior seguito tra gli artigiani e i commercianti dei piccoli villaggi di provincia. La figlia attira persone più povere e più isolate, quelle che si sentono escluse, che vivono difficilmente lontano dai grandi agglomerati. I risultati attuali del FN aumentano man mano che ci si allontana dai centri di potere e di ricchezza.

Le elezioni europee offrono un terreno ideale a quell’elettorato la cui situazione è difficile, la precarietà spesso e più ancora la marginalizzazione trovano una spiegazione, o piuttosto un capo espiatorio, nella Commissione di Bruxelles. Da allora, spinta dalla febbre transitoria dei contestatori, è così che si sente dire? La maggior parte delle elezioni europee hanno vissuto simili fiammate senza un domani. Nel 1994, la lista radicale di sinistra, guidata da Tapie, aveva quasi superato quella del Partito Socialista: 12% contro il 14,4%. Nel 1999, il duo Pasqua-de-Villiers si era inventata la lista RPR con 13,1% dei voti contro il 12,8%. Nel 2009, nuova indignazione dei socialisti, quando la lista verde di Cohn-Bendit raggiungeva il 16,3% dei suffragi espressi, superata di 0,2 punti solamente da quella del PS. Queste performance sono rimaste senza seguito.

In questi tre casi, la forte ascesa degli outsides era rapida e inaspettata. L’avanzamento del FN è stato più lento e laborioso. Adesso può consolidare il suo vantaggio in ragione della sua composizione sociologica particolare. L’inchiesta condotta dall’Ifop, il giorno stesso dell’elezione, mette in evidenza un profilo ben definito: 35% degli elettori adulti dai 35 ai 50 anni hanno votato per il FN, ma soltanto il 16% degli anziani di più di 65 anni; l’11% dei quadri superiori e dei liberi professionisti contro il 36% degli impiegati e 46% degli operai. 28% degli abitanti dei comuni rurali ma 9% dei parigini. Il contrasto è, forse, ancora più chiaro se si guarda ai livelli di istruzione: 7% di coloro che hanno studiato più di due anni dopo il bac, 17% di quelli che hanno due anni di studio dopo il bac, 26% di quelli che si sono fermati al bac e 30% di quello che non hanno preso il bac. Le classi popolari, dunque. Queste non si aspettano più nulla dai partiti tradizionali e dai loro blablabla, di cui Hollande ha dato esempio col suo discorso di lunedì sera. Non sono scontente di vedere il panico impossessarsi della loro classe dirigente, una cosa che, anzi, li incoraggia nel loro voto. La loro attitudine non è irrazionale. Essa è simile a quella di milioni di scommettitori che spendono ogni giorno delle piccole somme al PMU. Sanno che la loro speranza di vincere è inferiore alla loro giocata, ma una vincita elevata porterebbe loro quello che non potrebbero mai ottenere mettendo insieme tutte le loro piccole giocate. Una sorta di scommessa di Pascal dei poveri. Anche se non hanno granché da ottenere dal FN, è sempre meglio che rimanere senza aspettative dai partiti al potere.

La perdita della fiducia che una popolazione accorda alle sue élites è una minaccia pesante per il futuro. Essa non è imputabile all’influenza diabolica della famiglia Le Pen, ma piuttosto al comportamento endogamico delle classi dirigenti, che minimizza la speranza degli altri di accedervi. Il blocco di quello che chiamano “la scalata sociale” non è causato da un meccanismo perverso né dalla cattiveria della classe dirigente, ma dalle strutture di cui godono i “bambini dell’élites”. Nel 1968, la rivista il Partigiano aveva calcolato che un figlio d’architetto aveva 40.000 volte più di probabilità di iniziare il mestiere dei suoi genitori, che il figlio di un operaio. Oggi, il figlio di chi esce dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione ha un vantaggio di questo tipo rispetto al figlio di un operaio. Il blocco conduce alla segregazione sociale. Mentre si traccia la mappa dei lavoratori manuali in Francia, si scopre che loro vivono ancora più lontani dalle città degli agricoltori. Quando si traccia la mappa dei quadri e dei liberi professionisti, si vede la loro concentrazione accentuarsi nelle grandi città, di anno in anno. Due mondi si sono separati. Il più numeroso dei due può ottenere la maggioranza in una democrazia e cominciare a sognare.

Traduzione per Spondasud: Carla Melis

Fonte: http://www.liberation.fr/politiques/2014/05/27/la-carte-du-vote-fn-ou-la-france-partagee-en-deux_1028238

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