Mons. Warda: “Estirpare l’ISIS con l’intervento armato”


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(Salvatore Lazzara) – Monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, nel Kurdistan iracheno, ha ribadito durante una conferenza stampa tenuta a Roma, organizzata dalla fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), che è opportuno, da parte della comunità internazionale, «aumentare il sostegno militare e la pressione politica» per contrastare ed abbattere definitivamente il sedicente stato islamico.

“È necessario che venga presa un’azione militare per fermare l’Isis. È un cancro, va fermato come questa malattia”. In secondo luogo, serve una “riconciliazione politica per fermare tutte le dispute e ricostruire la fiducia tra iracheni. Infine, bisogna continuare l’aiuto umanitario per affrontare il crescente numero di rifugiati che arrivano in Kurdistan”. Si tratta, secondo Warda, di un «pacchetto» di iniziative che vanno prese congiuntamente, “non si può prendere una iniziativa senza le altre”. So che può sembrare strano che un vescovo metta al primo punto l’intervento militare – ha precisato Warda – ma a volte sono necessarie misure infelici come in questo caso, perché siamo di fronte a un cancro, non c’è possibilità di dialogo con queste persone. Il cosiddetto Califfato, secondo l’arcivescovo di Erbil, “è una minaccia non solo per i cristiani della regione, ma anche per i sunniti, gli yazidi, e per tutto il mondo”. Richiesto di una precisazione in merito all’intervento militare, il Presule è sembrato escludere soluzioni come l’impiego di truppe di terra, “che avrebbero un alto prezzo”, sottolineando però che “tutti sono responsabili: con l’Isis combattono persone che provengono da paesi europei, Regno Unito, Francia e altri, e l’Europa pertanto non può dire: è un vostro problema. Devono portarli indietro. Non possono ignorare la responsabilità che hanno. È necessario aumentare il sostegno economico e la pressione politica”. Se in passato, secondo il Presule, in Occidente non c’era piena consapevolezza del problema dei cristiani mediorientali perseguitati, dopo gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi “c’è maggiore consapevolezza che l’Isis è un problema non solo per il Medio Oriente”.

Warda, che ha sottolineato come il territorio tra Kurdistan e zona dell’Isis ha un confine di 160 chilometri ed è stato pertanto impossibile ai peshmerga difendere tutta la popolazione cristiana fuggita dagli jihadisti. Ha elogiato la collaborazione con il governo del Kurdistan, in particolare nella città di Ankawa, dove, grazie anche all’aiuto di Acs e di altri contributi umanitari, è stato possibile sistemare molte famiglie in alloggi stabili, costruire scuole e centri sportivi. A chi domandava se l’Isis goda di sostegni militari e politici internazionali, Warda ha risposto che “i politici dicono di sì, bisognerebbe chiedere a loro chi è che sostiene” l’autoproclamato Stato Islamico, ma c’è anche un «sostegno» in parte della comunità locale ed è comunque necessario “fare pressione contro il finanziamento, l’aiuto militare o chi fa affari” con l’Isis. Durante la conferenza stampa, il presule, ha ricordato che i cristiani iracheni, che erano un miliardo e trecentomila nel 2013, sono ora 400mila. 7mila cristiani sono fuggiti in Giordania, Libano e Turchia, 30mila a Erbil.

 

 

 

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