Le principali fazioni palestinesi provano a disegnare un percorso politico condiviso che porti a un governo di unità nazionale. Un accordo di principio in tal senso è stato siglato a Mosca, dove da due mesi erano in corso negoziati non ufficiali, nel corso di consultazioni informali fra esponenti di al-Fatah, di Hamas e della Jihad islamica. Secondo un esponente di al-Fatah, Azzam al-Ahmad, entro due giorni il presidente Abu Mazen avvierà un giro di consultazioni. Le tre fazioni ora formeranno un nuovo Consiglio nazionale palestinese che a sua volta eleggerà il Comitato esecutivo, i vertici del potere palestinese.
Una base dell’accordo era stata raggiunta al Cairo fra il presidente palestinese e leader di Al-Fatah Abu Mazen e il leader di Hamas Khaled Meshal, lo scorso 24 novembre. I colloqui erano poi proseguiti a Mosca e a Beirut, con la partecipazione anche del movimento Jihad Islamica.
Già oggi il premier Rami Hamdallah presiede un governo di riconciliazione, composto da tecnocrati e sostenuto dall’esterno da al-Fatah e da Hamas. Ciò nonostante ancora di recente Hamas e al-Fatah sono tornati a scambiarsi aspre accuse per la grave penuria di corrente elettrica a Gaza. Ad ogni modo l’intesa ha un valore politico strategico e mette fine a 10 anni di conflitto interno, dopo la presa del potere da parte del movimento islamico a Gaza nel 2007.
Nei giorni scorsi Papa Francesco ha ricevuto il Presidente Abu Mazen a Roma per aprire la nuova ambasciata palestinese presso la Santa Sede, in virtù dell’Accordo bilaterale firmato nel 2015 in cui il Vaticano ha riconosciuto lo Stato della Palestina ( anche se lo aveva fatto implicitamente per anni). L’apertura della rappresentanza diplomatica ha assunto un significato molto forte, anche in considerazione dei rapporti sempre più tesi con Israele e, in particolare, con il premier Netanyahu.
Alla fine dello scorso anno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede ad Israele di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme est e insiste sul fatto che la soluzione del conflitto in Medioriente passi per la creazione di uno Stato palestinese che conviva insieme a Israele. La risoluzione è passata con 14 voti a favore perché a sorpresa gli Usa si sono astenuti e non hanno fatto ricorso al loro potere di veto per bloccare il provvedimento. Questa decisione ha scatenato l’ira di Israele che da tempo accusa l’amministrazione Obama di aver tradito il Paese, ritenendo l’iniziativa un colpo di coda del presidente Usa uscente.