Papa Francesco e l’Armenia: un recupero di Cristianità nel coraggio di una parola


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di Bruno Scapini 

In un’epoca in cui sembra sempre più difficile pronunciarsi in favore dei valori cristiani, in un tempo in cui forse ci si vergogna di esporre il Crocefisso in un’aula scolastica o si rinuncia nelle nostre scuole alla celebrazione del Santo Natale per tema di “urtare” le suscettibilità islamiche, e bene,  Qualcuno offre prova di grande coraggio e sfida i poteri consolidati. Questo Qualcuno è Papa Francesco che, sullo scabro terreno del riconoscimento dell’eccidio armeno, non ha esitato, lo scorso anno a Roma, in occasione della Santa Messa dedicata al Centenario della ricorrenza, a pronunciare per la prima volta la parola “Genocidio” rompendo in tal modo un omertoso silenzio sul fatto storico e affrontando sopratutto le ire del “Sultano” della Sublime Porta.

Papa Francesco, sappiamo, è solito portare conforto alle vittime dei soprusi, ai deboli delle società ed agli emarginati. Ma in quella occasione ha dimostrato al mondo intero di voler chiamare l’immane tragedia patita dal popolo armeno nel 1915 col suo vero nome : Genocidio.

Oggi, come ieri, in occasione del suo viaggio in Armenia – testè conclusosi – il Pontefice ha reiterato quella parola che molti potenti esitano ancora a pronunciare.

La visita al popolo dell’Armenia, benchè effettuata nel contesto della sua missione istituzionale, si connota tuttavia diversamente dalle altre per il significato ecumenico che in questa circostanza il viaggio ha assunto. Non si è trattato, infatti, di apostolizzare una terra lontana geograficamente, né di portare il “verbo” del credo in una comunità agnostica. Al contrario, in Armenia il Papa  si è recato nel segno della fratellanza. In nome di una solidarietà fideistica intesa a realizzare, proprio nel primo Paese che ha proclamato il Cristianesimo religione di Stato  ( nel 301 d.C, ovvero dieci anni  prima di Costantino ), un recupero di quella Cristianità di cui noi stessi oggi rischiamo di disconoscere i valori fondanti per le nostre società.

Il viaggio del Papa in Armenia, dunque, al di là dei suoi significati e dei suoi contenuti prettamente dogmatici, viene ad assumere così una prospettiva di ben più grande respiro: è il ricongiungimento con quella Cristianità primigenia  della prima Chiesa che, benchè discostatasi nel corso dei secoli dal cammino intrapreso dalla Chiesa Romana e Mariana, ha mantenuto delle peculiarità  di origine che in fondo la legano alla fede cattolica nel sentire religioso, nella visione del mondo e nella percezione dei valori.

Ed proprio a quest’ultimo riguardo che la presenza del Papa in terra d’Armenia acquista il suo senso più profondo: la condanna del male, di quel male che, subìto nella maniera più atroce dal popolo di Hayk nel 1915 per mano degli Ottomani, non cessa di affiorare alla memoria di quella Nazione, anzi ne rappresenta la forza portante, cementandone tutte le sue componenti in Patria come nel mondo dove la diaspora armena è riuscita a sopravvivere. Eppure, molti ancora esitano a pronunciare questa parola, quale fosse una vergogna, o peggio, uno strumento di bieco mercimonio politico. Ma questo Pontefice non si fa intimorire dalle scomposte reazioni del Presidente turco, Erdogan, e addirittura sorpassa quanto realizzato dal suo predecessore, Giovanni Paolo II, che, già nell’anno 2000, sottoscriveva in un comunicato congiunto con Garegin II, Capo della Chiesa Apostolica Armena, la parola Genocidio, poi però non più pronunciata nel corso del suo successivo viaggio in Armenia l’anno dopo, forse alla luce della violenta reattività turca registratasi sull’ evento.

Papa Francesco non teme nessuno. Egli ha voluto dare oggi una decisiva svolta a questa teoria di riprovevoli ambiguità e reticenze. Egli parla apertamente di “Genocidio” degli Armeni e, sfidando l’irriverenza di Ankara, sollecita gli indecisi ad affrontare l’argomento per fare altrettanto; certamente con cuore generoso, ma sopratutto con mente aperta e consapevole dell’importanza di ricordare il “crimine” commesso, per non dimenticarlo e vilmente farlo accettare nel deplorevole  silenzio che ancora da più parti lo circonda. Una parola, dunque. Una sola parola, ma capace di recuperare e di riscattare la Cristianità.

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