(Federica Cannas) – Parola d’ordine: concentrarsi sulle urgenze. Donald Trump, rientrato nello Studio Ovale, ha deciso di iniziare dalle basi, ossia reinstallare il celebre pulsante della Diet Coke, che gli consente di ricevere una lattina della sua bibita preferita con un semplice tocco. Perché si sa, nessuna grande decisione politica si prende a stomaco secco (o con poca caffeina).
Ma mentre il presidente si preoccupa di mantenere alto il livello di effervescenza personale, emerge una proposta di politica estera che definire “spumeggiante” sarebbe un eufemismo, la deportazione di 1,5 milioni di palestinesi da Gaza verso Paesi come Giordania ed Egitto. Un’idea che Trump ha descritto come “potenzialmente temporanea”, perché deportare milioni di persone è, a suo dire, un esperimento logistico da testare, ma che ha già sollevato reazioni internazionali molto meno leggere di una lattina di bibita.
Per comprendere il piano Trumpiano su Gaza, bisogna partire dall’ovvio. Il pulsante della Diet Coke non è solo un accessorio, ma il simbolo di un approccio alla presidenza che mescola comfort personale e visione globale. Un tocco qui, una lattina là, e si è pronti a risolvere il conflitto israelo-palestinese con la stessa semplicità con cui si ordina una bibita.
Il pulsante, ripristinato con orgoglio dopo essere stato rimosso dall’amministrazione Biden, incarna la filosofia trumpiana. Le piccole cose contano, e se possono essere gassate, ancora meglio. Ma mentre l’America dibatte sull’utilità (o meno) di questo gadget, la Casa Bianca discute di come ripulire Gaza.
Trump non è noto per le mezze misure, e il suo piano per Gaza non fa eccezione. L’idea, sostenuta con entusiasmo dall’estrema destra israeliana, prevede la deportazione di 1,5 milioni di palestinesi verso Paesi vicini, come Giordania ed Egitto. Secondo il presidente, questa sarebbe una mossa “per il bene della pace”, anche se somiglia più a una soluzione logistica che a una strategia diplomatica.
Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano e sostenitore del piano, lo ha definito “un’idea eccellente” per aiutare i palestinesi a “trovare nuovi luoghi in cui iniziare una vita migliore”. Traduzione: portarli lontano e sperare che il problema sparisca magicamente.
Peccato che Giordania ed Egitto abbiano già risposto con un secco no, sottolineando che Gaza appartiene ai palestinesi e che nessuno ha intenzione di farsi carico di un esodo forzato. Anche gruppi come Hamas e la Jihad islamica palestinese hanno definito il piano “un crimine contro l’umanità”, condannando l’incoraggiamento a soluzioni che sembrano uscite da un film distopico.
Mentre il pulsante della Diet Coke permette a Trump di gestire la sete con la precisione di un orologio svizzero, il piano per Gaza riflette un altro aspetto della sua leadership, l’apparenza di soluzioni semplici per problemi complessi. Deportare milioni di persone? Basta un piano, un po’ di logistica e qualche convoglio. Il Medio Oriente non sarà risolto, ma almeno si potrà dichiarare di aver fatto qualcosa.
Il contrasto tra il comfort presidenziale e l’urgenza delle questioni globali non potrebbe essere più evidente. Da un lato, la meticolosa attenzione alla disposizione del tappeto nello Studio Ovale e alle decorazioni (tra cui busti e aquile argentate), dall’altro, un approccio che lascia milioni di vite in bilico.
Il pulsante della Diet Coke e il piano per Gaza potrebbero sembrare agli antipodi, ma sono due lati della stessa medaglia. Entrambi riflettono una politica che privilegia l’apparenza e la spettacolarità: un presidente che tiene in mano una lattina ghiacciata mentre propone di sconvolgere la geopolitica mediorientale.
E se il pulsante serve a soddisfare una sete personale, le proposte sulla Palestina rischiano di lasciare il mondo intero a bocca asciutta, con nuove crisi umanitarie e tensioni internazionali.