Saviano e il Venezuela: l’ennesima brutta recita del teatrante dell’ovvio


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(Alessia Lai) – Il Santo laico ha parlato. Anzi, ha scritto. E ha condannato il Venezuela al girone dei cattivi. L’icona dell’anticamorra, antimafia, antibruttisporchiecattivi ci comunica che non può «chiudere gli occhi di fronte alla corruzione e a tutto ciò che di terribile sta succedendo nel Paese». Roberto Saviano: pochi libri, molto rumore. Da giornalista d’inchiesta accusato dai suoi colleghi di plagio e copia incolla è stato promosso anchorman dei buoni sentimenti dal quel Fabio Fazio, sacerdote dell’ovvio e del politicamente corretto, che da anni ammorba televisione di Stato e coscienze. Perché per sentirsi democratici e corretti, assumere a dosi regolari i pistolotti di Fazio e Saviano deve essere considerata “terapia di mantenimento”.

Generato e creato dalla stessa sostanza dei mezzi di comunicazione mainstream, prodotto editoriale e fenomeno da prima serata in una Italia che della lotta alla criminalità organizzata preferisce fare spettacolo per poi lasciare tutto esattamente come è. Dopo avere aperto una ferita nel cuore di molti seguaci con le sue esternazioni in favore di Israele, qualche anno fa il favoleggiatore di telefonate con la madre di Peppino Impastato (smentite dagli stessi familiari della signora) ha lasciato per un periodo il suo ingrato Paese approdando nella terra delle libertà dove ha fatto l’ennesimo salto: da teatrante a professore universitario. Certo, dove poteva ricollocarsi se non negli Stati Uniti, nel luogo in cui i media e i gruppi di potere – bene o male gli stessi che in Italia  ne hanno consacrato la figura di eroe solitario – sono le vere colonne portanti? Il luogo migliore per trasferire la sua esperienza di giornalista e intrattenitore impegnato, di guru delle anime belle girotondare, era la culla della democrazia – almeno secondo lui – americana.

La propensione a stare con “i buoni”, in Italia come nel mondo, è la terra di coltura della sua “mission” di giustiziere romanticamente armato di tastiera e coraggio. E di questo deve essere proprio convinto visto che si presta di volta in volta ad attaccare i “cattivi” del momento. Negli ultimi tempi, in un mondo nel quale guerra, sgozzamenti, violenze di ogni genere vengono commessi da bande create e finanziate dalla terra delle libertà tanto amata da Saviano, il nostro, col suo radar anti-cattivi, ha individuato nel Venezuela un pericoloso nemico delle libertà civili. Lo ha fatto riportando e commentando un articolo di The Post Internazionale nel quale si parlava di un’inchiesta della Dea, l’Agenzia antidroga degli Stati Uniti, in cui si accusa Diosdado Cabello, presidente del Parlamento venezuelano, di essere a capo di un cartello della droga. Notizie divulgate dal The Wall Street Journal e dal giornale spagnolo ABC, da sempre in prima fila nell’attaccare Caracas.

Vale la pena di riportare l’intero post che Saviano ha scritto sul suo profilo Facebook: «Il Venezuela chavista crocevia di organizzazioni dei narcotrafficanti da cui partirebbe la cocaina che inonda il mercato USA ed Europeo. E nella cupola che governa lo spaccio ci sarebbero alti funzionari del governo. Se fosse vera l’accusa, ciò dimostrerebbe solo una cosa: che la criminalità organizzata non solo arriva dappertutto ma che i governi e i regimi che millantano giustizia, solidarietà e fratellanza universale sono i più’ adatti a camuffare le alleanze con i narcos e il riciclaggio. Ovviamente i difensori del regime venezuelano parlano di complotto imperialista, magari fosse cosi.»

Il santino dell’anti-camorra è diventato anche giudice, ha già deciso che il governo chavista è corrotto e trafficante e soprattutto che le annose manovre nordamericane per rovesciare le istituzioni venezuelane sono fuffa. Inutile dilungarsi nell’elencare i tentativi che dal 1999 ad oggi hanno cercato di minare la rivoluzione bolivariana. Tentativi supportati dalla propaganda mediatica che di volta in volta innalzavano il livello: dal fallito golpe del 2002 all’organizzazione di rivoluzioni colorate. E dopo la morte di Chávez le rivolte teleguidate nelle strade e i nuovi tentativi di sovvertimento dei risultati elettorali, sempre regolarmente disconosciuti dagli Usa, dai loro alleati e dai loro supporters.

Pare di vederlo, l’ultras nordamericano Saviano, col suo faccino contrito, il dolcevita nero, un canovaccio in mano, raccontarci di Diosdado Cabello a capo di un fantomatico cartello venezuelano della droga. Da bravo giornalista (?) l’embedded Saviano cita solo la stampa embedded come il WSJ o ABC, non si informa certo su quanto riportato più volte dai figli di una divinità editoriale minore, la stampa indipendente. Scoprirebbe una Dea diversa, o almeno potrebbe provare a rifletterci su. Non una divinità, se non forse per il nostro eroe, ma una struttura della quale sono state svelate le commistioni con il traffico di cocaina e  il relativo riciclaggio di denaro. I legami fra l’agenzia antidroga nordamericana e i paesi leader del narcotraffico come Colombia e Messico sono ben conosciute a chi le vuole vedere. Altri sono affetti da un certo strabismo. Un difetto che fa vedere a Saviano un traffico di droga gestito dal Venezuela. Freme, il nostro Roberto: un anno fa tifava per i manifestanti pagati dal Canvas che volevano far cadere Maduro (e la sua cupola, come la definisce il prof di Princeton), oggi torna a battere su Caracas, legittimando gli attacchi a Cabello scaturiti, nel perfetto stile mafioso che dovrebbe ben conoscere, da dichiarazioni di disertori e fuoriusciti che hanno trovato rifugio, guarda caso, proprio negli stessi Stati Uniti che di recente hanno definito il Venezuela una minaccia per gli interessi nordamericani.

Dinamiche viste veramente troppe volte, specie con Cuba, per non sapere come agiscono le agenzie statunitensi e i loro megafoni mediatici. Una roba rodata quanto prevedibile, almeno per chi guarda alle faccende latinoamericane senza lenti deformate dalle stelle e strisce. Saviano non è tra questi, anzi. È un vero tifoso dell’american style. Saviano è uno di loro, uno dei “buoni”. Un suo ben più illustre conterraneo avrebbe commentato con un sonoro «Ma mi faccia il piacere!»

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