(Raimondo Schiavone) – Siamo nell’epoca d’oro della guerra hi-tech, dove la superiorità non si misura più solo in tonnellate d’acciaio, ma in terabyte e droni assassini autonomi. Il futuro della difesa è una galassia di intelligenza artificiale, armi ipersoniche e sciami di droni pronti a trasformare qualsiasi battaglia in un videogioco ad alto tasso di mortalità. E come sempre, le nazioni si sfidano non tanto sui campi di battaglia, ma nei bilanci e nelle stanze ovattate dei consigli d’amministrazione delle aziende belliche.
Negli Stati Uniti, il Pentagono ha ormai assunto la fisionomia di una Silicon Valley militarizzata. Palantir, Anduril, OpenAI e altri giganti tech non sviluppano più solo algoritmi per venderti un aspirapolvere che “capisce” quando hai bisogno di pulire casa, ma affinano sistemi per sciami di droni che identificano e annientano il nemico senza bisogno di un umano che prema il grilletto. La Defense Innovation Unit (DIU) è il ponte tra il mondo delle start-up e il Pentagono: in poche parole, il sogno proibito di ogni venture capitalist con l’occhio lungo sui miliardi stanziati per la difesa.
La filosofia? “Fail fast, kill faster.” Se un progetto di difesa non funziona, poco male, si passa al successivo. Così, mentre gli eserciti si aggiornano a colpi di update software, il business delle armi digitali cresce senza freni.
E l’Europa? Beh, come al solito, arranca. Tra burocrazia e regolamenti che frenano l’adozione delle tecnologie emergenti, il Vecchio Continente sembra ancora indeciso se investire sulla difesa o continuare a credere nella diplomazia come soluzione magica a tutte le crisi. I fondi per la difesa aumentano, ma sempre con il freno a mano tirato: troppa burocrazia, troppa paura di sembrare troppo “aggressivi” (ma poi tutti pronti a riarmarsi quando la situazione degenera).
In pratica, mentre gli Stati Uniti testano in tempo reale sciami di droni per la ricognizione e l’attacco, in Europa si discute ancora se sia etico o meno militarizzare l’intelligenza artificiale. Il rischio? Ritrovarsi con eserciti tecnologicamente obsoleti mentre il mondo corre verso una guerra sempre più automatizzata.
E poi ci sono loro, i soliti antagonisti della narrazione occidentale: Russia e Cina. La Russia, con le sue forze nel Mediterraneo in difficoltà, continua a cercare di mantenere una parvenza di potenza militare. La Cina, invece, investe massicciamente nello spazio e nella cyberwarfare, dimostrando che il futuro della guerra non è solo sul campo, ma anche nelle orbite terrestri e nelle reti di comunicazione globali.
Mentre noi ci facciamo mille domande etiche, Pechino non si fa scrupoli a rincorrere gli USA sul fronte della guerra satellitare e delle armi quantistiche. E Musk, con il suo Starlink, si trova nel mezzo, diventando l’oggetto del desiderio di ogni grande potenza che vuole garantirsi comunicazioni sicure e indipendenti.
C’è un piccolo dettaglio che sfugge a molti: la tecnologia non rende la guerra meno cruenta, la rende solo più distante. Droni, intelligenza artificiale e missili ipersonici non cambiano la natura del conflitto, la rendono solo più asettica agli occhi di chi la osserva su uno schermo. Il problema è che questa illusione di “guerra pulita” ci porta dritti verso una corsa agli armamenti senza precedenti.
Il risultato? Budget militari in crescita esponenziale, aziende che fanno profitti record e governi che giustificano la spesa con il mantra della sicurezza nazionale. Nel frattempo, i conflitti locali non accennano a diminuire e le vittime restano sempre le stesse: civili, economie fragili e un mondo che continua a essere governato dalla logica della deterrenza armata.
Non illudiamoci: per quanto si voglia dipingere la guerra come un sofisticato gioco di strategia tecnologica, alla fine il risultato è sempre lo stesso. Gli eserciti si evolvono, le armi diventano più “intelligenti”, ma il fine ultimo non cambia: controllare, dominare, vincere.
E mentre discutiamo di innovazione e superiorità strategica, basterà il prossimo conflitto a ricordarci che, alla fine, le guerre si combattono ancora con il sangue e non con gli algoritmi.