(Maddalena Celano) – L’ambito territoriale in cui Simón Bolívar svolse la sua azione, abbraccia cinque milioni di chilometri quadrati nel nordovest del continente sudamericano, raggiungendo il limite meridionale dell’America Centrale settentrionale del Cile e dell’Argentina: si tratta dunque di una vasta zona che si estende dalle Ande e all’Oceano Pacifico, fino ai confini amazzonici del Brasile alle coste dell’Atlantico e del mar dei Caraibi. Le più grandi diversità naturali dell’intero pianeta sono presenti nell’immenso mondo di Simón Bolívar: paesaggi, climi, altitudini, montagne, valli e pianure; come il fiume Orinoco, il Magdalena, il Guayas e il Tumbes, foreste impenetrabili e deserti inospitali. Vi si trovano tutti fenomeni naturali e tutte le ricchissime varietà di flora e fauna presente sul continente.
La comparsa dell’uomo in America è stata oggetto di molte congetture. Certo che, al momento della scoperta, l’America appare veramente eterogenea sia dal punto di vista tecnico (sviluppo scientifico e tecnico) che culturale. A tale proposito possiamo distinguere almeno tre diverse Americhe. La prima con buon grado di sviluppo e popolazione maggiore. La seconda mediamente popolata con una cultura inferiore alla precedente, ma superiore alla terza America che è la più povera. Gli insediamenti in America Latina erano sviluppati e localizzati nel territorio compreso tra il Messico del nord e il Cile. Quest’area comprende insediamenti etnici di notevole interesse: quella che va dal Messico al Nicaragua, fino alla Bolivia e la parte settentrionale dell’Argentina. Nella prima area si sviluppò la civiltà si atzeca, che, purtroppo l’indiscriminato genocidio sa parte dei conquistatori spagnoli, la rende ancora fonte di ammirazione per il mondo.
Un millennio prima di Cristo i Maya avevano dominato questo territorio insediandovi una civiltà notevolmente avanzata: possedevano un sistema di scrittura relativamente perfetto e un’elevata conoscenza della matematica e dell’astronomia. I resti di città come Copàn, Palenque, Chichen, Itza, Tulùm, Uxmal, Mayapàn parlano da sole dello straordinario livello culturale raggiunto. Dopo i Maya, differenti gruppi di Nahuas stabiliscono la loro supremazia sulla zona: sono i Toltechi, gli Zapotechi, i Chichimechi. Ed infine venne il turno degli Atzechi, che fondarono nel 1325 Tenochtitlàn, sulle cui rovine sorge oggi esuberante l’ attuale capitale messicana. Nelle vicinanze del lago Titicaca si svilupparono gli importanti centri di Tiahuanaco e Chavìn. I Quechua innalzarono un vasto impero retto dagli Inca, il loro sistema politico è il più importante nella cultura sudamericana, inferiore tecnicamente solo a quella dei Maya e Atzeca, ma socialmente più avanzata, anch’ essa oggetto della furia depredatrice dei conquistatori spagnoli.
La terza America, quella povera, primitiva, in stato di guerra permanente, quella delle manifestazioni culturali più semplici ed è la più elementare struttura politico sociale, era la meno abitata. Tra queste popolazioni nomadi regnava dispersione è la massima differenziazione a livello di lingua, credenze e tradizioni. Gli interminabili conflitti inter-tribali producevano una situazione generale di instabilità e violenza. Se osserviamo dal punto di vista sociopolitico il continente la precolombiana, troviamo tra gli Atzechi una struttura teocratica il militare in organizzazione sociale aristocratica è suddivisa in classi. Gli Inca erano retti da un centralismo assoluto. I Chibcha, i Taino, gli Araucani, i Timoto, i Cuica, i Tupi, i Guaranì, i Caribi, come moltissimi popoli appartenenti al terzo gruppo, avevano in comune con le altre popolazioni del continente solo lo scarso valore attribuito all’ individuo. Di fronte al maestoso apparato dello Stato, nel caso di società complesse e perfezionate, o davanti alla dispotica autorità dei Cacique, che si tratta di organizzazioni tribali primitive, il valore del singolo è sempre nullo. La libertà individuale non esiste, è potere del sovrano o far parte del bottino di guerra. La schiavitù era già nota nel continente, e in alcuni luoghi si praticava l’antropofagia. La vita umana aveva senso solo come offerta a quei barbari dei, che si mostravano soddisfatti dell’ omaggio di cuori ancora pulsanti, o di fanciulle nel fiore degli anni.
Nell’ America precolombiana la dignità umana è un valore secondario, subalterno a molti altri. Lo scenario territoriale in cui Simón Bolívar svolse la sua opera, comprende oggi le Repubbliche di Panama, Colombia, Venezuela, Ecuador, Perù e Bolivia. Sono dunque presenti le tre Americhe. Simón Bolívar si forma nell’ambito sociale relativamente giovane; la comunità in cui nasce è segnata da sottosviluppo e arretratezza assoluti. Bolivar è in questo senso espressione dell’America intermedia, nella quale sono presenti entrambi i livelli. La realtà umana e personale di Simón Bolívar lo renderanno simbolo dell’uomo latinoamericano dalle più diverse attitudini e latitudini. Bolivar saprà rappresentare tutte queste nazioni e tutti questi popoli; l’America del Sud saprà trovare in lui la più altra espressione di riscatto e indipendenza. Nel periodo in cui nacque Bolivar la presenza indigena in Venezuela era limitata: il numero degli autoctoni non raggiungevano il livello del Messico o del Perù, l’indio era stato quasi sterminato e l’ incrocio razziale si realizzò prevalentemente tra bianchi e africani. All’epoca della scoperta, gli indigeni abitavano in Venezuela ma erano scarsi: minuziose ricerche fissano a 350.000 il numero degli abitanti su un’area di 1 milione di kilometri quadrati.
Lo scontro di questa popolazione con gli invasori spagnoli, per diverse ragioni, fu lungo e sanguinoso. In effetti, non esisteva nel paese un centro nevralgico che permettesse, attraverso un suo controllo, la conquista definitiva delle popolazioni amerinde sul territorio. Gli indigeni erano divisi in diversi gruppi; esistevano circa 15 famiglie linguistiche, oltre a numerosi dialetti, che furono proibiti in quella regione, dove la moderna antropologia distingue una decina di aree culturali precolombiane. Una parte considerevole della popolazione indigena venezuelana era formata da Caribi, conosciuti come valorosi guerrieri. La componente India, malgrado la decimazione, non soccombette interamente allo scontro con gli spagnoli e, sulla base della formazione e delle tecniche di guerra sviluppate, darà vita al popolo venezuelano. Il bagaglio culturale e spirituale di quelle popolazioni edifica una nuova sintesi culturale che, successivamente, si incrocerà con la cultura spagnola e quella africana. Importante è perciò ribadire la casistica, in questo caso assolutamente eterogenea, dell’elemento indigeno Venezuelano.
L’oligarchia a Caracas, prima dell’indipendenza bolivariana, era molto più aggressiva, retrograda e anacronistica, rispetto all’oligarchia dei Vicereami di Lima, Bogotà e Messico. Solo con la Guerra d’Indipendenza, la condizione degli amerindi migliorò ma lievemente. Basti tener presente i discorsi di José Domingo Dìaz al servizio della monarchia a La Gaceta de Caracas, e si percepisce l’odio verso gli ideali repubblicani ed egualitari del Libertador. Enrique Bernardo Nunez, ad esempio, nei 200 anni della nascita di Francisco de Miranda, il 28 Marzo 1950, ha denunciato gli attuali sostenitori della monarchia e della dominazione straniera. “A 200 anni dalla nascita di Miranda, il governo coloniale ha fatto infuriare i sostenitori e i seguaci che sono in mezzo a noi. La mente del nostro paese è stata e rimane coloniale”[1]. Fondamentalmente le colonie dell’America Latina soffrivano di un’economia malsana: le loro risorse venivano sfruttate delle rispettive metropoli, Spagna e Portogallo.
Il contrabbando costituiva un rimedio alle servitù del patto coloniale; all’interno, encomienderos e fazendeiros, grandi proprietari di terre e di schiavi tenevano nelle loro mani, per dilapidarle, la maggior parte delle ricchezze del paese. Quest’economia dissipatrice produceva esclusivamente lussi per una ristretta aristocrazia. Sotto certi punti di vista, l’ipoteca coloniale sull’economia sudamericana sussiste ancora. L’America Latina coloniale, con le Indie Spagnole o il Brasile, costituisce il prodotto della conquista. Là come altrove, la Conquista ha avuto come conseguenza la restaurazione di un’aristocrazia fondiaria. La proprietà feudale, che ancora predominava nell’Europa del 15º secolo, fu trapiantata nelle Indie; furono costituiti immensi domini in favore dei conquistadores e dei loro seguaci. Da questa avventura nacque l’ encomiendero spagnolo e il fazendeiro brasiliano. L’encomienda fu creata per fornire gratuitamente alle piantagioni la necessaria quota d’indios, manodopera che era scartata a discrezione, dalle speculazioni coloniali. Nell’America Latina coloniale, l’aristocrazia fondiaria sfrutta a proprio vantaggio le risorse della terra; essa si fa rappresentare da un esercito di mayordomos meticci (utilizzati come una sorta di “mediatori-culturali” tra i nativi e gli spagnoli), abili sfruttatori e schiavisti degli indios. Così il Nuovo Mondo fornì alla Spagna le sue materie prime, all’occorrenza l’oro e soprattutto l’argento. (1. continua)
[1] Enrique Bernardo Nuñez, Miranda o el Tema de la Libertad, BATM. Caracas. 1979. p. 17.