Siria, dentro Homs, tra distruzione e regressione sociale


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Quattordici anni di conflitto hanno trasformato Homs in una città spettrale, testimone silenziosa della guerra che l’ha attraversata. Considerata la “capitale della rivoluzione” contro il governo di Assad, oggi si presenta come un mosaico di rovine, in cui le ferite del passato restano ben visibili tra edifici sventrati, strade deserte e quartieri interamente rasi al suolo.

Attraversare Homs significa percorrere chilometri di macerie: gli scheletri degli edifici si stagliano contro il cielo, con le finestre sventrate e le pareti crivellate dai proiettili. I quartieri un tempo più animati, come Baba Amr, Khalidiya e al-Qarabis, sono ridotti a distese di cemento sgretolato e detriti.

I segni del conflitto non sono solo nelle strutture, ma anche nella vita quotidiana: intere famiglie vivono in edifici senza elettricità o acqua corrente, adattandosi a condizioni di estrema precarietà. Il ritorno degli sfollati è stato lento e doloroso, con molti che non trovano più le loro case né i loro quartieri, sostituiti da spazi vuoti o occupati da nuove costruzioni.

La ricostruzione è avvenuta in modo frammentario e selettivo: alcune aree strategiche hanno visto interventi di riqualificazione, ma interi quartieri restano inabitabili. Le infrastrutture essenziali, come scuole e ospedali, funzionano a capacità ridotta, mentre l’accesso ai servizi di base rimane precario per gran parte della popolazione. Molti sfollati, tornati dopo anni di esilio, non hanno più una casa né un lavoro e si trovano a vivere tra le rovine della loro città natale, senza prospettive concrete di ripresa.

Se la guerra ha stravolto la struttura urbana di Homs, la nuova leadership politica insediatasi dopo il conflitto ha imposto un cambiamento ancora più radicale nella vita quotidiana dei suoi abitanti. Tra le conseguenze più evidenti vi è il drastico peggioramento della condizione femminile, malgrado le iniziali promesse di una società più stabile e sicura.

L’attuale governo si ispira a un’interpretazione rigorosa dell’Islam, imponendo alle donne una serie di restrizioni senza precedenti. Le poche che si avventurano per le strade appaiono completamente coperte, con il volto celato da veli integrali, segno della rigidità delle nuove norme sociali. Non è solo il codice di abbigliamento a essere cambiato: le donne hanno progressivamente perso spazio nella vita pubblica, con restrizioni sempre più severe sull’istruzione, sul lavoro e sulla libertà di movimento.

Prima del conflitto, Homs vantava una presenza femminile attiva in molti settori, dalle professioni sanitarie all’insegnamento, fino al commercio. Oggi, invece, la segregazione imposta dalle autorità limita drasticamente la loro autonomia economica e sociale. Le giovani che un tempo aspiravano a studiare e lavorare si trovano ora relegate a ruoli domestici, con scarse possibilità di affermarsi al di fuori della famiglia.

Mentre la città cerca di rialzarsi, i suoi abitanti si trovano a dover affrontare una doppia sfida: quella della ricostruzione fisica e quella della regressione sociale. La speranza di una ripresa concreta sembra ancora lontana, soffocata da un contesto economico precario e da una leadership che ha ristretto molte delle libertà conquistate negli anni precedenti la guerra.

Nonostante tutto, alcuni segnali di resistenza emergono tra le rovine: mercati che lentamente riaprono, bambini che tornano a scuola e comunità che cercano di ricostruire, pezzo dopo pezzo, la vita quotidiana. Ma il prezzo pagato da Homs e dalla sua popolazione resta altissimo, e il cammino verso una vera rinascita appare ancora lungo e incerto.


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