STEFANIA MORI – Nel 2018 in Siria sono stati uccisi 1.106 bambini, il bilancio più pesante da quando la guerra è iniziata, nel marzo 2011. E’ quanto sostiene il Direttore generale dell’UNICEF, Henrietta Fore, secondo il quale “questi sono solo i numeri che l’ONU è stata in grado di verificare, ma le cifre reali sono probabilmente molto più alte”. Manco a dirlo, come accade in altri contesti di guerra, a mietere il numero maggiore di vittime sono soprattutto le mine che continuano a rappresentare la principale minaccia per l’incolumità dei più piccoli: sono infatti 434 i bambini morti o feriti a causa di ordigni inesplosi.
Inevitabile che la maggior parte delle vittime si concentri dove più aspri sono i combattimenti: a Idlib, la regione in mano ai gruppi armati dell’opposizione, spesso di matrice jihadsta, e nella zona di confine con l’Iraq, nel nord est della Siria, dove la lotta contro i miliziani dello Stato islamico è condotta da terra ma anche attraverso pesanti bombardamenti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti. In tutto nel 2018 gli attacchi armati contro strutture scolastiche e sanitarie sono stati oltre 250.
Le zone dove non si combatte più negli ultimi anni sono aumentate ma in diverse aree del paese, ha sottolineato la responsabile dell’UNICEF, i bambini sono esposti a pericoli analoghi a quelli di qualsiasi altro momento durante gli otto anni di conflitto.
Ci sono molte persone che ancora vivono nelle “terre di nessuno”, aree del paese dove la guerra è finita ma in realtà non sono governate o amministrate. Si tratta di aree del paese senza infrastrutture, perché distrutte dal conflitto, dove la condizione di vita rimane disperata, con un accesso quasi nullo a cibo, acqua, riparo, assistenza sanitaria e istruzione.
Una situazione particolarmente grave è quella del campo di Al Hol, nel nord-est del paese, dove vivono più di 65.000 persone, tra cui si stima che ci siano 240 bambini non accompagnati o separati. Da gennaio di quest’anno, quasi 60 bambini sono morti lungo i 300 chilometri di cammino da Baghouz al campo.
Un altro buco nero è rappresentato dai bambini dei cosiddetti foreign fighter nei confronti dei quali l’agenzia delle Nazioni Unite chiede agli Stati membri ad assumersi la responsabilità per quelli che sono loro cittadini o nati da loro cittadini, e ad adottare misure per evitare che i bambini diventino apolidi.
Nel frattempo, i paesi limitrofi della regione ospitano 2,6 milioni di bambini rifugiati siriani che, nonostante il sostegno dei governi ospitanti, delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, devono affrontare le proprie sfide. Molte famiglie non possono mandare i propri figli a scuola e, con poche opportunità di guadagno, stanno scegliendo soluzioni negative – tra cui il lavoro minorile e il matrimonio infantile – per farcela.