Nel nord-est della Siria, il campo di al-Hol è nuovamente in emergenza. Ahmad Abdullah Hammoud, uno dei 37.000 sfollati che vivono in condizioni estreme, ha potuto sfamare la sua famiglia solo grazie a qualche scorta di cibo accumulata. La sospensione improvvisa delle operazioni di soccorso da parte di un’organizzazione umanitaria finanziata dagli Stati Uniti ha aggravato una situazione già precaria, alimentando incertezza e tensione.
Il campo di al-Hol, noto per ospitare prevalentemente donne e bambini legati allo Stato Islamico, è un luogo dove le condizioni di vita sono da anni al centro di denunce da parte di organizzazioni umanitarie. Violenza diffusa, carenza di beni essenziali e un clima di insicurezza perenne segnano la quotidianità degli abitanti. Il recente blocco degli aiuti, imposto dall’amministrazione Trump, ha peggiorato drasticamente la situazione.
Nel campo, gestito sotto la supervisione della coalizione internazionale contro l’ISIS, la Blumont, un’organizzazione con sede negli Stati Uniti, forniva acqua, pane, cherosene e gas da cucina. La sua decisione di interrompere le attività ha avuto un impatto immediato. “Siamo rimasti scioccati dalla sospensione,” ha dichiarato Hammoud, che nega qualsiasi legame con lo Stato Islamico. Un altro residente, Dirar al-Ali, ha raccontato che il pane è arrivato solo nel pomeriggio, dopo ore di attesa.
Anche altre agenzie umanitarie, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno cessato alcune operazioni. Jihan Hanan, direttrice del campo, ha criticato duramente il blocco: “È una decisione vergognosa. Se non possiamo garantire cibo, dovremmo almeno permettere alle persone di andarsene.”
Una deroga temporanea, ma il futuro resta incerto
Dopo due settimane di sospensione, Blumont ha ottenuto una deroga e ha ripreso a lavorare il 28 gennaio. Tuttavia, il futuro degli aiuti rimane incerto. Mazloum Abdi, comandante delle Forze Democratiche Siriane (SDF)*, ha dichiarato di aver discusso il problema con la coalizione internazionale, nella speranza di trovare un’alternativa alla sospensione.
Il blocco degli aiuti avviene in un momento critico. La caduta del governo di Bashar al-Assad, avvenuta all’inizio di dicembre, ha creato un vuoto che lo Stato Islamico potrebbe tentare di colmare. La riduzione delle scorte alimentari potrebbe alimentare tensioni nel campo, dove si teme che cellule dormienti dell’ISIS possano sfruttare il malcontento per fomentare disordini.
Secondo informazioni ricevute dalla coalizione internazionale e dalle forze curde, il gruppo jihadista starebbe pianificando attacchi contro il campo, spingendo le autorità locali a rafforzare la sicurezza. Al-Hol ospita anche circa 9.000 combattenti dell’ISIS detenuti nei centri gestiti dalle SDF, ma il congelamento degli aiuti, secondo i funzionari locali, non dovrebbe impattare direttamente sulla sicurezza delle strutture.
Un campo al collasso: sovraffollamento e radicalizzazione
Al-Hol è un microcosmo di tensioni e disperazione. La parte principale del campo ospita 16.000 iracheni e 15.000 siriani, mentre una sezione separata, il cosiddetto “Annex”, accoglie oltre 6.300 stranieri provenienti da 42 paesi, molte delle quali mogli e vedove di combattenti dell’ISIS. Qui, l’ideologia jihadista è ancora radicata: bambini e adolescenti, privati di istruzione e prospettive, trascorrono le giornate tra giochi improvvisati e atti di ribellione.
Durante una recente visita della stampa, alcuni ragazzi hanno lanciato pietre contro i giornalisti gridando slogan come “Lo Stato Islamico durerà”. Un segnale allarmante della radicalizzazione in corso, che conferma i timori di esperti e autorità locali. “Al-Hol è il luogo più pericoloso del mondo,” ha avvertito Hanan, chiedendo ai governi di rimpatriare i propri cittadini per evitare che una nuova generazione venga educata all’estremismo.
Una delle residenti dell’Annex, Asmaa Ahmad, ha dichiarato di non voler tornare in Cina per paura di persecuzioni. Suo marito, militante dell’ISIS, è morto nel 2019 a Baghouz, ultimo bastione jihadista prima della sconfitta definitiva. Quando le è stato chiesto come stesse affrontando la crisi degli aiuti, ha risposto con fatalismo: “Il sostentamento viene da Dio.”
Il rimpatrio come unica soluzione?
Gli Stati Uniti, da anni, esortano i governi a riprendersi i propri cittadini bloccati nei campi siriani. Secondo il generale Michael Erik Kurilla, capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, la mancata reintegrazione degli ex combattenti e delle loro famiglie rischia di alimentare il ciclo dell’estremismo. “Senza rimpatri, riabilitazione e programmi di reintegrazione, questi campi diventeranno focolai di una nuova generazione dell’ISIS,” ha dichiarato.
Nel frattempo, molti siriani all’interno del campo hanno espresso il desiderio di tornare nelle aree ora controllate dalle nuove autorità locali. Secondo Hanan, chiunque voglia lasciare al-Hol potrà farlo. Tuttavia, anche con una riduzione della popolazione, la crisi umanitaria resta irrisolta: senza un intervento stabile, il rischio di una nuova emergenza rimane altissimo.
* Alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache costituitasi formalmente nell’ottobre 2015, durante la guerra civile siriana come forze armate dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est. Tale alleanza raccoglie anche diverse altre minoranze (turcomanni, armeni e ceceni) e una brigata internazionale.