Siria, terra di nessuno: il nuovo fronte tra Israele e Turchia


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La Siria si conferma ancora una volta il crocevia delle tensioni mediorientali e il banco di prova delle nuove alleanze geopolitiche. Secondo un rapporto pubblicato da Ynet, al centro dell’incontro imminente tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu non ci saranno soltanto Iran, Palestina e dazi, ma il vero nodo strategico sarà la Turchia. Un segnale chiaro che Damasco, più che un attore, è ormai divenuta la pedina di un gioco pericoloso tra potenze regionali.

Netanyahu, riporta il documento, intende mettere in guardia Washington sull’espansione militare turca nel nord della Siria. La preoccupazione di Israele è netta: se Ankara dovesse insediarsi stabilmente più a sud, nei pressi di basi strategiche come T4, Homs e Hama, verrebbe meno quell’equilibrio instabile garantito in passato dalla presenza russa. Prima della guerra, infatti, Mosca rappresentava una sorta di cuscinetto nella zona di confine tra Siria e Israele, impedendo escalation militari. Ora, con il lento ma continuo sgretolamento dell’influenza russa e il ritorno in campo turco, si apre un nuovo scenario di rischio: uno scontro diretto tra Israele e Turchia.

Non si tratta solo di logica militare, ma anche ideologica. Il vero “problema di lungo termine”, secondo Israele, è la crescente influenza della Fratellanza Musulmana, che Erdogan starebbe promuovendo come veicolo strategico per rafforzare la sua leadership nel mondo sunnita. La Turchia, con il suo sostegno implicito o esplicito a gruppi islamisti in Siria, Giordania, Hamas e Cisgiordania, ambirebbe a sostituire l’asse sciita guidato dall’Iran, mettendo però Israele di fronte a una minaccia più fluida, decentralizzata e difficile da contenere.

Il paradosso storico è lampante: proprio coloro che per anni hanno sostenuto, finanziato o tollerato l’idea della “caduta di Assad” – tra cui anche Turchia, Israele e attori occidentali – si trovano oggi a fare i conti con un vuoto di potere ingestibile. Il governo centrale siriano è ormai un ricordo: il presidente Bashar al-Assad non è più al comando, e al suo posto si è affermata una nuova leadership frammentata, con figure come Abu Mohammad al-Jolani – ex leader jihadista oggi riciclato come figura politica – che non ha né legittimità né capacità reale di governo.

Quello che resta è una Siria smembrata, priva di una direzione unitaria, governata a pezzi da milizie, gruppi religiosi, potenze straniere e signori della guerra. Le forze che controllano il territorio non riescono né a contenere le interferenze esterne, né a garantire stabilità interna. La Siria si conferma così una “terra di nessuno”, in cui ogni nuova presenza – come quella turca – diventa detonatore potenziale di un conflitto più ampio.

In questo deserto di sovranità, Israele si trova oggi davanti a un dilemma strategico: accettare il rischio crescente sul proprio confine o agire in modo preventivo, con il rischio concreto di uno scontro militare con la Turchia. Una prospettiva che fino a pochi anni fa sarebbe sembrata inverosimile, e che oggi si impone come uno degli scenari più concreti per il futuro del Medio Oriente.

 

(Raimondo Schiavone)


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