
(Federica Cannas) – Dopo aver lasciato intendere la possibilità di nuove sanzioni contro Mosca, Donald Trump ha annunciato l’invio di ulteriori forniture di armi all’Ucraina, rafforzando il sostegno militare a Kiev in un momento in cui il conflitto si aggrava giorno dopo giorno.
Il presidente degli Stati Uniti ha liquidato con disprezzo le parole di Vladimir Putin, definendole “un sacco di stronzate”.
Lo ha detto in un contesto pubblico, ufficiale, da capo di Stato.
Una frase volgare, sbruffona, e soprattutto vuota. Ma il problema è che questo tipo di linguaggio rappresenta in pieno la miseria politica e diplomatica del nostro tempo.
Trump si muove tra provocazione, ignoranza e arroganza come se fossero strumenti di governo.
Non offre visione, non costruisce soluzioni, non prova nemmeno ad articolare un pensiero coerente.
Semplifica, ridicolizza, insulta. E lo fa da una posizione tutt’altro che neutra. È il presidente della maggiore potenza militare del pianeta. E ogni sua parola pesa, ogni sua uscita ha un impatto, ogni sua deriva ci riguarda tutte e tutti.
Putin, piaccia o no, ha esposto la sua posizione in modo articolato. Si può dissentire. Nel caso, però, sarebbe corretto farlo sempre, con ogni leader e su ogni scenario, non solo quando conviene o quando lo impone la narrazione dominante.
Non si può liquidare tutto con una battuta da social.
Trump non cerca il confronto, ma solo l’effetto.
Perché in questo mondo capovolto, si colpisce con foga chi sfida l’ordine occidentale, mentre si tace o si copre un genocidio come quello condotto da Netanyahu contro i palestinesi.
Perché è l’espressione brutale e ormai normalizzata di un mondo politico che ha smesso di cercare soluzioni e si limita a occupare la scena, ad alzare i toni, a esibire forza come se fosse leadership.
D’altra parte, come potrebbe davvero cercare soluzioni il presidente di un Paese che ha esportato guerre in ogni angolo del mondo e in ogni epoca storica, trasformando il conflitto in strumento ordinario di politica estera?
Come potrebbe parlare di pace chi ha armato ogni guerra utile ai propri interessi, chi ha sostenuto colpi di Stato, destabilizzato intere regioni, trascurato ogni principio di legalità internazionale?
Come potrebbe farlo chi sostiene l’occupazione israeliana con cieca complicità, chi non ha mai condannato apertamente i massacri di Gaza, chi considera la vita dei civili selettivamente degna di pianto?
Invece di riflettere, Trump risponde con slogan, minacce, oscenità linguistiche.
E il fatto ancor più grave è che nessuno, nei media mainstream, nelle istituzioni europee, nelle Nazioni Unite, si scandalizza davvero.
Come se fosse normale. Come se fosse accettabile che un presidente parli come un adolescente isterico, ignorando che la parola pubblica, in tempi di guerra, può uccidere quanto una bomba.
Questa non è solo inadeguatezza personale. È il fallimento collettivo di un’intera civiltà politica.
Un sistema che finge di difendere la democrazia, ma ne accetta ogni caricatura purché stia dalla parte “giusta”.
Un sistema che impone al mondo una visione manichea, dove il bene coincide sempre con l’Occidente e il male con chiunque osi metterlo in discussione.
È un mondo al contrario.
Un mondo in cui un genocida può sbeffeggiare l’opinione pubblica globale e promuovere il suo amico Trump come Nobel per la pace, senza che nessuno si indigni.
Un mondo che pretende di esportare diritti, ma li nega sistematicamente ai popoli che non si allineano.
Un mondo in cui l’ipocrisia è diventata tanto radicata da non essere più percepita.
Fino a quando potrà reggere questa costruzione così falsa e violenta?
Fino a quando si potrà continuare a tollerare un ordine internazionale basato su due pesi e due misure, su interessi mascherati da valori, su potenze che giudicano tutto tranne se stesse?
Con Trump è tornata l’idea che si possa governare il mondo come si gestisce un reality show.
Ma questa volta, non c’è più nulla di grottesco o ironico. C’è solo da avere paura. Perché la tragedia non è lontana. È già in corso.