Poche righe, inserite nella sofferta riscrittura della legge contro il terrorismo, catapultano la Tunisia sul fronte avanzato della lotta al crimine armato legato all’islam. La commissione Legislazione generale del parlamento tunisino, a larghissima maggioranza (13 membri su 15) ha infatti approvato l’articolo che, nei fatti, equipara la corrente integralista islamica del takfirismo al terrorismo. Così come terroristi saranno considerati coloro che incitano alla violenza, pur non praticandola direttamente. Un cambio di passo, nella lotta al terrorismo armato, cui si deve riconoscere un atto di grande coraggio, pur se assunto in un periodo emergenziale come quello che sta vivendo la Tunisia, dopo gli attentati stragisti del Bardo e sulla spiaggia di Sousse.
Il takfirismo è una delle correnti più ‘giovani’ dell’Islam: la sua nascita viene collocata infatti nel 1971, quando il suo fondatore, Moustafà Choukri, codificò le direttrici di una setta che fa del rigore, della tolleranza e della giustificazione della violenza come mezzo di insegnamento e proselitismo. Choukri, oppositore di Nasser e che si riteneva il Mahdi cui spettava il compito di fare rinascere l’Islam più puro, fu giustiziato in Egitto.
Considerato una costola del wahabismo (la corrente dominante in Arabia Saudita), il takfirismo, anche per l’ermetismo di alcune sue pratiche, ha cominciato a fare presa sui musulmani sunniti più ortodossi, che si sono riconosciuti nella missione disegnata da Moustafà Choukri: imporsi, anche con la violenza, su tutti coloro che non ne condividevano le idee e il messaggio, bollando la comunità islamica come corrotta. La setta, in un certo senso, ha mostrato la sua potenziale pericolosità solo dopo la stagione delle ‘primavere arabè, approfittando della strada spianata dai salafiti, maggiori per numero e contigui in termini di ideologia.
La nuova legge contro i terroristi apre in Tunisia uno scenario assolutamente nuovo perchè definisce nemici dello Stato (passibili per questo della pena capitale, comunque da più di vent’anni non più applicata) coloro che seguono un credo religioso estremistico, al di là del fatto che si siano resi responsabili diretti di atti di violenza.
Quindi una eventuale condanna colpirebbe anche chi condivide e non solo partecipa ad atti terroristi. Oppure, per essere più crudi, si può essere indagati, incarcerati o condannati per la propria religione e non per quel che si è fatto. Una linea di discrimine sottilissima e che forse farà storcere il naso a più d’un giurista, ma che, almeno per i deputati tunisini, è una strada obbligata se si vuole sconfiggere il terrorismo islamico, magari minando alla base la sua base potenziale religiosa prima ancora che ideologica.