
[Francesco Levoni]
La Tunisia ha avviato una vasta operazione di smantellamento di decine di campi informali in cui si stima vivessero oltre 20.000 migranti africani in attesa di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Gli insediamenti, distribuiti su terreni agricoli e aree urbane abbandonate nei pressi della città costiera di Sfax – a meno di 161 chilometri dalle coste italiane – erano diventati epicentro di tensioni sociali, preoccupazioni sanitarie e allarme politico.
L’intervento delle autorità, condotto dalla Guardia Nazionale Tunisina, è stato giustificato con la necessità di garantire la sicurezza pubblica e di ristabilire l’ordine in una delle aree più critiche della regione per quanto riguarda le partenze irregolari verso l’Italia. Secondo il generale di brigata Hossam Eddine Jebabli, portavoce della Guardia nazionale, l’operazione ha portato all’arresto di circa 200 migranti subsahariani e al sequestro di armi da taglio, alimentando il timore che i campi potessero trasformarsi in zone franche di illegalità.
Tuttavia, dietro la retorica della sicurezza, emergono dinamiche più complesse e profondamente radicate. I campi, situati nei territori di El Amra e Jebeniana, da mesi erano teatro di scontri tra la popolazione locale e gruppi di migranti. Le tensioni – spesso sfociate in episodi di violenza – sono il risultato di una coesistenza forzata in aree marginali, aggravata dalla mancanza di servizi, dalla crisi economica che colpisce anche i tunisini e da una crescente ostilità alimentata da anni di retorica anti-immigrazione.
Un equilibrio precario nel cuore del Mediterraneo
La Tunisia è diventata negli ultimi anni uno dei principali punti di partenza per le rotte migratorie verso l’Europa. Secondo l’UNHCR, solo nei primi mesi del 2025, centinaia di migranti sono riusciti a raggiungere le coste italiane partendo proprio dalla Tunisia. Il numero reale potrebbe essere molto più alto, se si considerano i viaggi falliti, le partenze non registrate e le tragedie silenziose avvenute in mare.
Nel tentativo di fermare il flusso, le autorità hanno intensificato i pattugliamenti marittimi e hanno avviato una collaborazione con organizzazioni internazionali come l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) per incentivare il rimpatrio volontario. Tuttavia, molti migranti temono di essere ingannati. Video e messaggi condivisi sui social network nelle ultime settimane mettono in guardia contro presunti trasferimenti “fittizi”, in cui gli autobus forniti per il rimpatrio si dirigerebbero invece verso i confini desertici con la Libia e l’Algeria, lasciando i migranti in condizioni estreme, senza assistenza.
L’ombra delle espulsioni forzate
Già in passato, diverse organizzazioni per i diritti umani avevano denunciato espulsioni collettive e deportazioni in zone di confine ostili, dove i migranti sarebbero stati lasciati a piedi senza acqua né cibo. Le denunce, sostenute anche da rapporti di Human Rights Watch e Amnesty International, parlano di una sistematica violazione del principio di non-refoulement, secondo cui nessuno può essere rimandato in un luogo dove rischia persecuzioni o trattamenti inumani.
Il presidente tunisino Kais Saied ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica internazionale, dichiarando che lo smantellamento è stato condotto “senza coercizione, nel rispetto della dignità delle persone e della legalità”, ma non ha fornito dati precisi né dettagli sul futuro dei migranti coinvolti. In un contesto politico sempre più autoritario e sotto accusa per la gestione della crisi economica, Saied sembra voler riaffermare un controllo muscolare del territorio e mostrare all’Unione Europea la disponibilità della Tunisia a “collaborare” nella gestione dei flussi, anche a costo di gravi implicazioni umanitarie.
Un nodo politico ed europeo
Il tema migratorio, ancora una volta, si intreccia con la geopolitica. L’UE ha recentemente firmato un memorandum d’intesa con la Tunisia, promettendo investimenti e sostegno economico in cambio di un maggiore controllo dei flussi migratori. Ma l’accordo è stato criticato da molte ONG e osservatori internazionali, che denunciano l’esternalizzazione delle frontiere europee a Paesi che non garantiscono i diritti fondamentali.
Nel frattempo, la situazione a Bir Mellouli, dove i migranti smistati dai campi di Sfax sarebbero stati trasferiti, resta poco chiara. Non è noto quanti vi siano effettivamente arrivati, quali condizioni abbiano trovato, né quali prospettive li attendano.
Lo smantellamento dei campi in Tunisia segna una nuova fase nella gestione delle migrazioni nel Mediterraneo centrale. Un’azione che, dietro la patina della legalità, riflette un equilibrio instabile tra esigenze di sicurezza, pressioni internazionali, tensioni locali e un dramma umanitario ancora senza risposte strutturali.
Finché le politiche migratorie europee continueranno a dipendere da accordi fragili e da deleghe esterne, il Mediterraneo non smetterà di essere una linea di frattura tra Sud e Nord, tra speranza e disperazione.