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(Francesco Gori) – Per oltre quattro decenni, la Turchia e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) sono stati protagonisti di un conflitto sanguinoso che ha causato oltre 40.000 vittime, migliaia di arresti e una profonda frattura tra la comunità curda e lo Stato turco. Oggi, dopo anni di repressione e fallimenti nei tentativi di mediazione, un nuovo spiraglio di pace sembra aprirsi con la possibilità che Abdullah Öcalan, storico leader del PKK, annunci la fine della lotta armata.
Ma si tratta davvero di un passo verso la riconciliazione, o è solo una mossa strategica del presidente turco Recep Tayyip Erdogan per consolidare il suo potere?
Il primo segnale di una possibile svolta è arrivato dal leader nazionalista Devlet Bahçeli, alleato chiave di Erdogan, che ha sorpreso l’opinione pubblica invitando Öcalan a rivolgersi direttamente al Parlamento turco per annunciare la fine della lotta armata. Questo cambiamento di posizione da parte del leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), noto per la sua retorica dura contro i curdi, ha sollevato interrogativi sulla reale direzione dei negoziati.
Le dichiarazioni di Bahçeli non sono isolate: secondo fonti vicine al governo, i negoziati tra Ankara e il PKK sarebbero iniziati in segreto diversi mesi fa e coinvolgerebbero anche il Partito della Democrazia dei Popoli (Dem), erede politico dell’HDP, la principale forza curda in Parlamento. La possibilità che Öcalan torni a giocare un ruolo politico, dopo oltre 25 anni di prigionia in isolamento sull’isola di İmralı, segna un momento cruciale per la questione curda in Turchia.
Sul tavolo delle trattative ci sono diverse richieste della comunità curda, tra cui:
- Riconoscimento ufficiale della cultura e della lingua curda, storicamente repressa dallo Stato turco;
- Maggiore autonomia amministrativa nelle regioni a maggioranza curda;
- Liberazione dei prigionieri politici, tra cui molti sindaci, attivisti e amministratori locali arrestati negli ultimi anni;
- Amnistia per Selahattin Demirtaş, ex leader dell’HDP, condannato a 42 anni di carcere con una sentenza criticata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e da numerosi Paesi membri dell’UE.
Erdogan, dal canto suo, potrebbe accettare di inserire nel nuovo progetto costituzionale alcune aperture nei confronti della comunità curda, ma il livello di concessioni rimane incerto.
Dietro questa apparente apertura, Erdogan ha obiettivi ben precisi. Non potendosi ricandidare dopo il 2028 a meno di una modifica costituzionale, ha bisogno del sostegno del Dem per ottenere i voti necessari in Parlamento. Avviare un dialogo con la comunità curda potrebbe servire a rafforzare la sua posizione politica, specialmente in vista di possibili elezioni anticipate.
Sul piano internazionale, un accordo con il PKK potrebbe permettere alla Turchia di rafforzare la propria posizione in Siria e Iraq. Ankara punta a smantellare l’autonomia della regione del Rojava, nel nord-est della Siria, amministrata dalle Forze Democratiche Siriane (SDF), alleate degli Stati Uniti. Un’intesa con il PKK potrebbe portare all’esilio dei suoi membri attivi in Siria e favorire l’integrazione delle SDF nell’esercito siriano filo-turco, indebolendo la resistenza curda nell’area.
Allo stesso tempo, la Turchia mira a ottenere il sostegno del governo regionale curdo nel nord dell’Iraq, guidato da Masoud Barzani, per smantellare le basi del PKK nei territori iracheni. Recentemente, una delegazione del Partito della Democrazia dei Popoli ha incontrato Barzani per discutere possibili scenari futuri, ma la resistenza delle forze curde siriane rimane un ostacolo significativo.
Nonostante la possibilità di un nuovo processo di pace, la comunità curda e diversi osservatori internazionali restano scettici sulla sincerità di Erdogan. La repressione contro i curdi non si è mai fermata: negli ultimi mesi sono stati arrestati nuovi esponenti dell’opposizione, attivisti e persino artisti accusati di propaganda terroristica.
Inoltre, molti si chiedono quanto sia ancora forte l’influenza di Öcalan sui militanti del PKK. Dopo oltre 25 anni in isolamento, il suo potere decisionale potrebbe essersi indebolito, e parte del movimento curdo potrebbe rifiutare un’eventuale dichiarazione di cessate il fuoco se non accompagnata da reali concessioni da parte di Ankara.
L’annuncio ufficiale sulla fine della lotta armata potrebbe arrivare entro il Nowruz, il capodanno curdo, segnando un momento di svolta per la politica turca e per il futuro della questione curda. Tuttavia, resta da vedere se questa iniziativa porterà a una vera pace o se sarà solo una tattica di Erdogan per rafforzare il proprio potere e ridurre l’influenza curda nella regione.
Gli sviluppi delle prossime settimane saranno cruciali per capire se la Turchia è davvero pronta a voltare pagina su un conflitto che dura da oltre 40 anni, o se questa rimarrà l’ennesima promessa mancata in una storia di repressione e disillusione.