Un anno fa cadeva Mosul. La difficile battaglia contro lo Stato Islamico


0 Condivisioni

 

Il 10 giugno del 2014 il sedicente Stato Islamico (Is) conquistava Mosul, la seconda città irachena, a maggioranza sunnita e – in passato – con una forte presenza cristiana. Un anno dopo, mentre si avvicina l’anniversario della nascita dell’autoproclamato Stato Islamico, il gruppo controlla circa la metà del territorio siriano e un terzo di quello iracheno. Maggio è stato segnato da due importanti vittorie per i jihadisti: la conquista della città siriana di Palmira pochi giorni dopo la presa dell’irachena Ramadi, a un’ora da Baghdad.

Tutto, a nove mesi dall’avvio della campagna della coalizione a guida Usa. Un «mix di violenza e opera di convincimento» è la ricetta con cui l’Is è riuscito a registrare «conquiste a livello politico», a «presentarsi come l’unico tutore degli interessi dei sunniti» nel vasto territorio che si estende dall’Iraq alla Siria, a emergere – ha scritto nei giorni scorsi il New York Times – come un «movimento sociale e politico» in molte zone sunnite e a rendersi così protagonista di un ‘surgè nonostante i raid della coalizione, quasi 4.000 dall’inizio delle operazioni. I jihadisti uccisi dalla coalizione sono più di 10mila, secondo gli ultimi dati annunciati dal vice segretario di Stato americano Anthony Blinken.

L’Is è nato da al-Qaeda in Iraq, si è riorganizzato dopo l’offensiva delle forze Usa e delle milizie tribali sunnite contro il gruppo di Osama bin Laden ed è riuscito a espandersi in Siria nel 2013, due anni dopo l’inizio della guerra. Stando a dati Onu, i combattenti stranieri nell’Is sono più di 25mila e provengono da oltre 100 Paesi. «Il punto su cui dobbiamo fare più progressi è la necessità di arginare il flusso dei foreign fighters», ha detto ieri il presidente Usa Barack Obama al termine del G7, per il quale è fondamentale anche accelerare l’addestramento delle forze irachene. La battaglia contro l’Is, concordano vari analisti, va combattuta anche a livello politico e serve una strategia globale.

Lo scorso anno dopo la caduta di Mosul, come ricordava ieri il Financial Times, «la priorità degli Usa» è stata rimuovere il premier sciita Nuri al-Maliki in un Paese attraversato da forti tensioni confessionali. Ma lo scorso agosto con la salita al potere del successore, Haider al-Abadi, sono state solo «insabbiate» le differenze tra la maggioranza sciita e le minoranze sunnita e curda.

Il caos dominava un anno fa nel nord dell’Iraq con l’avanzata dei jihadisti su Mosul. Le famiglie della zona fuggivano con quello che riuscivano a portar via dalle case. Fuggivano dalle case contrassegnate decine di migliaia di cristiani dopo l’editto che gli imponeva la conversione all’Islam e il pagamento di una tassa. I combattenti curdi iniziavano la battaglia contro l’Is. Oggi in Iraq in prima linea contro i jihadisti ci sono le forze paramilitari sciite. A Mosul, mostrano video ottenuti dalla Bbc, le donne girano interamente nascoste dalla testa ai piedi sotto vesti nere, le scuole giacciono abbandonate, mentre di molti luoghi di culto resta quel che può rimanere di edifici fatti saltare in aria.

La distruzione ha colpito anche il patrimonio culturale della città. Secondo il sito iracheno di notizie ‘Ankawà, in città verrà inaugurata una nuova moschea: era un’antica chiesa, la chiesa di Sant’Efrem dei siro-ortodossi, ma è stata trasformata dall’Is in moschea dei ‘Mujahedin’. A inizio maggio, come aveva riportato il giornale Al-Quds al-Arabi, c’era stata la cerimonia di inaugurazione per la riapertura da parte dell’Is dell’hotel a cinque stelle ‘Nineveh Oberoì, il più elegante albergo di Mosul, che ora si chiama ‘Hotel Warithin’ (in arabo, ‘I successorì del profeta Maometto).

I jihadisti, che in questi mesi si sono resi protagonisti di una serie infinita di orrori e brutalità, seguono una rigida interpretazione della sharia e punizioni severe vengono riservate a chi non rispetta le regole. Fustigazione, amputazione della mano, lapidazioni. Per l’Is è reato l’omosessualità, così come commette reato un medico che si rifiuta di curare un combattente.

Testimonianze da Mosul riferiscono che l’Is trattiene una percentuale degli stipendi. Dati certi non esistono, ma si stima che in questa città martoriata vivano ancora tra le 600mila e i due milioni di persone e in molti sarebbero preoccupati per i preparativi di una possibile offensiva per la riconquista della città. A Mosul era nato anche Tareq Aziz. Ministro degli Esteri di Saddam Hussein e poi vice presidente, di religione cristiano caldea e per 30 anni al potere, Aziz è morto quattro giorni fa.

0 Condivisioni