(F.M. Giuntini) – Negli ultimi mesi, la crisi politica in Venezuela ha assunto connotati drammatici, con scontri pressoché quotidiani che coinvolgono polizia, guardia nazionale e colectivos filogovernativi da una parte e gruppi dell’opposizione organizzata dall’altra: il bilancio è ormai superiore a centro vittime. La situazione nel Paese sudamericano, in seguito alla morte del Comandante Hugo Chávez il 5 marzo 2013, è precipitata con il mancato riconoscimento – da parte dell’opposizione della Mesa de Unidad Democrática (MUD) – della risicata vittoria di Nicolás Maduro alle elezioni presidenziali del successivo 14 aprile, a dispetto di un sistema elettorale che solo un anno prima l’ex Presidente statunitense Jimmy Carter aveva definito «il migliore al mondo». A partire da allora, le violenze di piazza sono andate a combinarsi con una metodica operazione di aggiotaggio da parte dei settori della grande distribuzione ostili al governo, andando ad aggravare una situazione già critica a causa delle pesanti ripercussioni che il crollo del prezzo del petrolio ha avuto su un’economia il cui processo di affrancamento dal rentismo petrolero è stato avviato con colpevole ritardo da parte del chavismo.
Dopo un iniziale picco toccato con le cosiddette guarimbas tra il gennaio e il maggio del 2014 (durante le quali persero la vita 43 persone tra forze dell’ordine, militanti di entrambi gli schieramenti e cittadini casualmente coinvolti), la tensione ha raggiunto un nuovo livello di guardia a causa del grave conflitto istituzionale nel frattempo delineatosi tra l’Assemblea Nazionale (a maggioranza anti-chavista in seguito alle elezioni parlamentari del 6 dicembre 2015) e gli altri organi dello Stato, nonostante i tentativi di mediazione della Santa Sede. Di fronte a una nuova escalation di violenza nei primi mesi del 2017, agli appelli dell’opposizione per un intervento contro il governo da parte dell’esercito (la cui organicità al bolivarismo sembra, però, ormai blindata) e a un quadro di diffuso malcontento tra la popolazione e di crescente disillusione da parte della base chavista, i vertici del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) hanno quindi deciso, nel tentativo di arrestare la pericolosa erosione di consensi, di giocare la più estrema delle carte previste dalla Costituzione bolivariana del 1999.
Così, in occasione di una marcia convocata dal governo il 1° maggio, Maduro annunciava «la convocazione del potere costituente originario per raggiungere la pace di cui necessita la Repubblica, per sconfiggere il golpe fascista e perché sia il popolo, con la sua sovranità, che imponga la pace, l’armonia e il vero dialogo nazionale». L’opposizione ha, a sua volta, gridato al golpe presidenziale, bollando la mossa come un passo decisivo verso la “cubanizzazione” del Venezuela e rifiutando la sfida di un confronto elettorale attraverso la partecipazione al processo costituente. Di fronte alla portata dirompente dell’iniziativa del PSUV, in grado di ridestare l’entusiasmo di una parte importante della base chavista e di puntellare la leadership di Maduro, la MUD ha quindi preferito arrivare allo scontro totale, chiamando alla mobilitazione ad oltranza fino al rovesciamento del governo e dei vertici dell’esercito e del potere giudiziario. L’apice di questa strategia è stato toccato con lo svolgimento, il 16 luglio, di una contestata “consulta popolare” contro la Costituente e con la nomina, il 21 luglio, di un tribunale supremo parallelo.
La denuncia di un attacco contro l’ordine costituzionale lanciata dai dirigenti dell’opposizione e dai numerosi avversari che il chavismo annovera sullo scenario regionale e internazionale, tuttavia, risulta fondata su basi giuridiche controverse. Secondo l’art. 347 della Costituzione bolivariana, infatti, «il popolo del Venezuela è depositario del potere costituente originario», in esercizio del quale «può convocare un’Assemblea Nazionale Costituente con l’obiettivo di trasformare lo Stato, creare un nuovo ordinamento giuridico e redigere una nuova Costituzione». L’art. 348 prevede che «l’iniziativa della convocazione» possa essere presa dal presidente, dal parlamento con una maggioranza qualificata dei due terzi, dai due terzi dei consigli municipali del Paese o dal quindici per cento dei cittadini con diritto al voto. L’art. 349, infine, stabilisce che «il Presidente della Repubblica non potrà porre obiezioni alla nuova Costituzione» e che «i poteri costituiti non potranno in nessuna forma impedire le decisioni dell’Assemblea Nazionale Costituente».
La prova di forza di Maduro, pertanto, si muove formalmente nel solco di quanto prescritto dai meccanismi del testo costituzionale vigente (che probabilmente Chávez volle esplicitare nel 1999 per mantenere aperta la strada di un futuro approfondimento dell’ambizioso progetto rivoluzionario che andava lanciando). Anche alla luce di ciò, appare improbabile un repentino cambio di fronte da parte dei vertici della Fuerza Armada Nacional Bolivariana (guidata dal Ministro della Difesa Vladimir Padrino López, fedelissimo di Chávez che ha portato al suo apice la politicizzazione del corpo stesso) o del Tribunal Supremo de Justicia (fondamentale nella progressiva marginalizzazione giuridica del parlamento controllato dalla MUD), per quanto siano senz’altro possibili ulteriori casi di defezione individuale come quelli della Fiscal General Luisa Ortega e del dimissionario componente della missione venezuelana all’ONU Isaías Medina, rivoltatisi contro Maduro negli ultimi mesi.
Il 30 luglio, fatidico giorno delle elezioni per l’Assemblea Costituente, rischia pertanto di diventare la data in cui verrà definitivamente sancita la fine della coesistenza all’interno del medesimo sistema di due visioni politico-sociali da sempre incompatibili. Con i vertici del chavismo disposti alle più estreme conseguenze pur di portare fino in fondo il proprio progetto e un’opposizione che, rifiutando un’insidiosa partecipazione al processo costituente, ha ormai optato per una strategia insurrezionale, ci si avvia verosimilmente verso una resa dei conti tutt’altro che pacifica. Di fronte al bivio in cui si trova il Paese, dunque, lo “scenario cubano” spesso ventilato dalla MUD sembra realmente diventare lo sbocco più plausibile alla crisi in corso, che con il perdurare o l’intensificarsi del supporto esterno all’agenda oltranzista dell’opposizione rischia seriamente di degenerare in uno “scenario libico” in salsa caraibica.
Il Venezuela, quindi, attende le votazioni per la Costituente con la tensione alle stelle e un’unica certezza: la Quinta República fondata da Chávez sarà presto superata, e la Sexta è ancora tutta un’incognita.