La guerra civile nello Yemen rischia di trasformarsi in guerra regionale dopo che l’aviazione dell’Arabia Saudita ha bombardato le postazioni dei miliziani sciiti Houthi che, con le forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, stanno conquistando terreno nel paese fino a raggiungere la città portuale di Aden, la più importante città del Sud dove si è rifugiato il presidente, il sunnita Abd-Rabbu Mansour Hadi. Che, però, potrebbe già aver lasciato il paese, via mare. Secondo l’emittente televisiva Sky News Arabia, Hadi in questo momento si troverebbe in Oman
L’Arabia Saudita, che aveva già rafforzato il suo schieramento di truppe e mezzi militari al confine settentrionale dello Yemen, lungo la regione d’origine degli Houthi ha rotto gli indugi e ha deciso l’intervento come ha confermato l’ambasciatore saudita a Washington Adel al-Jubeir: “I sauditi – ha scandito in una conferenza stampa a Washington – faranno tutto il necessario per proteggere il popolo yemenita e il legittimo governo dello Yemen”.
Riyad ha dispiegato 100 aerei da caccia e 150mila soldati, oltre ad unità navali. Della coalizione fanno parte 5 delle 6 petromonarchie – tutte sunnite – del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Persico): Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein e Qatar. Solo l’Oman (che confina ad ovest con lo Yemen) non partecipa o all’intervento.
Barack Obama ha autorizzato la fornitura di aiuti logistici e di informazioni di intelligence a sostegno dell’intervento armato a guida saudita. Gli Usa è stata in stretto contatto con il presidente sunnita dello Yemen, Mansour Hadi – che ha voluto l’intervento a guida saudita – e con i partner dell’America nella regione.
L’Egitto ha annunciato il suo pieno sostegno politico e “militare” alla coalizione araba contro gli Houthi in Yemen. Il ministero degli Esteri del Cairo, citato dall’agenzia ufficiale Mena, ha affermato: “È in corso un coordinamento con l’Arabia Saudita e altri paesi del Golfo per la partecipazione di una forza aerea, navale e di terra alla coalizione”.
Risale ai primi anni Sessanta l’ultima volta che l’Egitto era intervenuto in Yemen: all’epoca furono inviate migliaia di truppe per sostenere un colpo di Stato repubblicano che rovesciò una monarchia sciita, di orientamento religioso simile a quello degli Houthi. Anche l’intervento de Il Cairo rischia di complicare un quadro che con il trascorrere dei giorni è diventato esplosivo.
Quello yemenita è, infatti, uno scenario complesso soprattutto per la presenza di Al – Qaeda: il gruppo terrorista della Penisola arabica ha recentemente giurato fedeltà allo Stato Islamico (Is) abbandonando così l’egiziano Ayman al-Zawahiri. Attiva nello Yemen, al-Qaeda nella Penisola arabica è considerata l’ala più potente e pericolosa dell’organizzazione fondata da Bin Laden e finora aveva respinto l’autorità dell’Is.
Ed è stato proprio il braccio di al Qaeda nello Yemen a rivendicare ufficialmente l’attacco contro la sede del magazine Charlie Hebdo a Parigi, che ha provocato ben 12 morti. La rivendicazione era contenuta in un video, in cui si sosteneva che i fratelli Kouachi fossero stati “incaricati” proprio da al Qaeda nello Yemen. Una circostanza che fa capire come i confini tra ISIS e il gruppo fondato da bin Laden sia in alcuni contesti molto labile. Un’osmosi che consente ai miliziani di passare da una sigla all’altra senza alcuna apparente contraddizione, ispirati dalla sola logica del jihad globale.
I miliziani sciiti Houthi hanno accusato il presidente Mansour Hadi e i suoi alleati, Arabia Saudita in testa, di non aver fatto nulla per contrastare i qaedisti che in Yemen hanno creato centrali e campi di addestramento senza che le autorità nazionali intervenissero. Gli sciiti parlano apertamente di complicità e accusano i sunniti di aver utilizzato i terroristi di al Qaeda contro il popolo e la rivoluzione.
La lettura occidentale che vede la fuga del presidente yemenita come la caduta dell’ultimo bastione contro l’ISIS è del tutto errata: al Qaeda c’era già e adesso si è trasformata, in tutto o in parte, in ISIS.
Il loro annuncio su Twitter, ritenuto dagli esperti più che affidabile, è chiaro: ”Annunciamo la rottura del giuramento di fedeltà allo sheikh, alla guerra santa e allo studioso Sheikh Ayman al-Zawahiri. Ci impegniamo con il califfo dei credenti Ibrahim bin Awad al-Baghdadi per ascoltarlo e obbedirgli”, si legge su Twitter. Miliziani della cellula di al-Qaeda nello Yemen hanno anche ”annunciato la formazione di battaglioni armati per uccidere gli sciiti a Sana’a e a Dhamar”, nel centro dello Yemen.
L’intervento militare dell’Arabia Saudita ha un forte impatto a livello regionale. Con i raid contro gli Houti, il paese del Golfo vuole fermare l’avanzata dei “ribelli” e, al contempo, impedire che l’Iran, loro alleato, possa rafforzarsi in Yemen e porre le basi per un radicamento nella penisola a maggioranza sunnita.
L’obiettivo di Teheran, secondo gli USA e i suoi alleati, sarebbe quello di favorire la creazione di un movimento simile al libanese Hezbollah, assicurandosi così uno strumento politico e militare capace di influenzare le sorti della regione, esattamente come accade oggi in Siria, Bahrain, Iraq e, in misura minore, in Afghanistan.
L’Iran accusa i sunniti, e in particolare i sauditi, di utilizzare i terroristi in funzione anti sciita. Questo spiegherebbe l’attentato dello scorso 3 dicembre quando un’autobomba ha colpito la residenza dell’ambasciatore iraniano nello Yemen, Hassan Sayed Nam. Al momento dell’attacco l’ambasciatore non si trovava nella residenza, che si trova nel quartiere Hada della capitale Sana’a A rivendicare l’attacco terroristico è stata proprio la branca yemenita di al Qaeda.
Per questa ragione l’Iran, attraverso il ministero degli Esteri, giudica i bombardamenti in Yemen un passo pericoloso che peggiorerà la crisi. “Questa è un’azione pericolosa contro le responsabilità internazionali di rispettare la sovranità nazionale dei Paesi, ha detto Marzieh Afkham, responsabile dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri. “Ricorrere a operazioni militari contro lo Yemen, che è alle prese con una crisi interna ed è occupato ad affrontare il terrorismo, rende la situazione più complicata, fa precipitare la crisi e porta a perdere le opportunità per ricomporre le divergenze interne dello Yemen in modo pacifico”.
L’ufficio del ministero degli Esteri ha quindi sottolineato la necessità di attuare al più presto accordi nazionali tra partiti yemeniti e gruppi, lanciando un appello per porre fine a tutti i raid aerei e le azioni militari contro lo Yemen.
Riyad, Emirati, Bahrein e Qatar, affermano, dal canto loro, di “aver deciso di contrastare le milizie Huthi, al Qaida, e l’Isis nel paese”, mettendoli tutti sullo stesso piano. Un’equazione pericolosa che rischia di rafforzare i gruppi jihadisti che, secondo alcuni analisti, potrebbero essere utilizzati ancora una volta in chiave anti sciita. E non è un caso, quindi, che i raid aerei abbiano colpito soltanto le basi degli Houti e non quelle ben più pericolose di Al Qaeda – ISIS. Uno schema che rischia di riproporre nella penisola arabica una nuova Siria, con logiche non troppo differenti.