Crescono (ma non sfondano) gli euroscettici, i populisti e le destre, anche quelle marcatamente razziste. Il voto consegna all’Europa un Parlamento sempre più frammentato. La maggioranza va ai popolari, che però calano rispetto al 2009, e i socialisti si rafforzano ma perdono la corsa alla presidenza della Commissione europea. A questo punto popolari e socialisti dovranno collaborare per poter formare una maggioranza, molto probabilmente una ‘grande coalizione’, perché al momento non sembrerebbero esserci altre maggioranze alternative.
Secondo i dati misti (exit poll e primi scrutini), il Partito popolare europeo (Ppe) avrebbe la maggioranza relativa con 212 seggi, davanti ai socialisti (S&D) con 185. Terzi i liberaldemocratici dell’Alde con 71, mentre i Verdi sarebbero la quarta forza del Parlamento europeo con 55 seggi, davanti alla Sinistra Unitaria del Gue (45) e ai conservatori dell’Ecr (40), gruppo che comprende principalmente i Tories britannici ed i polacchi. Il gruppo euroscettico Efd, che nella sua composizione originaria comprende i britannici dell’Ukip, i danesi del Danish People Party, la Lega e i Veri Finlandesi, avrebbe 36 deputati.
L’Italia è stata travolta dal ciclone Matteo Renzi e dal suo Partito Democratico che ha incassato oltre il 40% dei consensi, doppiando l’ex comico Grillo, leader discusso del Movimento 5 Stelle, e affossando Forza Italia di Silvio Berlusconi, ben al di sotto della soglia critica del 18%. Era dai tempi della Democrazia Cristiana che un partito italiano non raggiungeva un risultato così netto. Neanche il Partito Comunista di Enrico Berlinguer era riuscito in un’impresa simile. Il premier italiano ha detto: “E’ un voto di speranza straordinaria di un Paese che ha tutte le condizioni per cambiare e per invitare l’Europa a cambiare. In Europa da una parte le forze che vengono definite populiste in alcuni Paesi hanno ottenuto un risultato straordinario e in altri un risultato significativo. Dall’altra parte c’è un’idea di Europa che ha fallito. Nel mezzo il grande spazio per il cambiamento possibile: riportare l’Europa ad essere il luogo delle famiglie, delle imprese. Questo è il nostro sogno. Questo risultato ci spinge fortissimamente ad avere consapevolezza del nostro compito”.
La Francia si è svegliata scossa dal ‘terremoto’ Marine Le Pen. Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha escluso lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, come chiesto invece dal Fronte Nationale, ma il misero 14% del Partito Socialista del presidente Hollande apre scenari imprevedibili per il futuro della Francia.
In Germania si conferma la Große Koalition, con la Cdu di Angela Merkel che, malgrado il calo dei consensi, è ancora il primo partito. Con il 27,3%, l’Spd sale del 6,5% rispetto al 2009 e alle elezioni parlamentari del 2013. I socialdemocratici sono stati chiaramente trainati dalla campagna a sostegno di Martin Schulz, candidato alla Commissione europea. I veri vincitori delle elezioni sono comunque gli euroscettici di Alternative für Deutschland che toccano il 7%.Lo scorso settembre, in occasione del voto per il Bundestag, l’AfD si era fermata al 4,7%, al di sotto quindi della soglia di sbarramento del 5%. Quello delle Europee è un risultato eccezionale per un partito nato solo a febbraio 2013 intorno all’idea di un’Unione Europea da riformare a partire dalla moneta unica e che ora tallona da vicino la Linke, ferma al 7,4%.
Negli altri paesi, tutti colpiti a vario modo dalla crisi, le urne europee hanno riservato molte sorprese. In Spagna il voto europeo ha mandato in soffitta il tradizionale bipartitismo iberico, basato sull’alternanza tra il Partito popolare e i socialisti del Psoe, che perdono sostanziali fette di elettorato. Podemos (Possiamo), il movimento nato dalla protesta degli indignados, ha debuttato con un dignitoso 6,46. Il governo di Mariano Rajoy non rischia, ma la perdita di otto euro-seggi (sui 54 di cui dispone la Spagna) non è segnale da trascurare.
In Grecia, la sinistra anti-austerità di Alexis Tsipras (Syriza) vince con il 26,42% ma non abbatte il governo Samaras, che guida il paese in tandem con i socialisti (ancora una volta penalizzati duramente alle urne). Tsipras ha chiesto il voto politico anticipato.
Nei Balcani, la maggioranza dei paesi ha visto una prevalenza delle forze di centrodestra. Ma è proprio qui che si è registrato anche un forte astensionismo. In Croazia, il Paese membro più giovane della Ue, il centrodestra ha ottenuto il 41,5% dei voti con cinque degli 11 europarlamentari spettanti. Molto staccata al 29% la coalizione di centrosinistra al potere. Il grande perdente è certamente il premier socialdemocratico Zoran Milanovic, che ha parlato di “importante lezione per noi”.
Successo dei conservatori anche nella vicina Slovenia, dove il vincitore èil Partito democratico sloveno (Sds) dell’ex premier Janez Jansa, al quale sono andati il 24,8% e tre degli otto eurodeputati. Alle sue spalle un’altra formazione conservatrice formata da Nova Slovenija e Partito popolare sloveno col 16,4% e due seggi a Strasburgo. Infine, voto ‘tradizionale’ anche a Malta, dove i laburisti si sono affermati con il 53%, seguiti dai Popolari del Partito nazionalista (40%).