Appunti sul presunto “califfato islamico” di Mosul


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(Nicola Melis) – Il bombardamento mediatico a cui siamo stati sottoposti negli ultimi giorni in relazioni agli accadimenti dell’Iraq, non fanno altro che suscitare le solite legittime perplessità su come vengano trattate superficialmente e senza il minimo di perizia, certe questioni legate al mondo islamico.

A pochi giorni dall’inizio del mese di Ramadan, infatti, il così detto “Stato islamico dell’Iraq e del Levante” ha designato “califfo”, attraverso un comunicato audio diffuso via internet, il proprio leader, Abu Bakr al-Baghdadi. Il califfo Ibrahim, così come si è autodefinito, afferma anche di aver realizzato il sogno di creare quell’unico stato islamico arabo postcoloniale, politicamente unito, tra Iraq e Siria, sotto forma di califfato, agognato da tanti intellettuali e politici arabi vissuti a cavallo tra ottocento e novecento, ma che nessuno prima era mai riuscito a realizzare. È quasi imbarazzante dover sottolineare come la retorica del califfato, per la maggioranza dei musulmani, non rivesta più da secoli un grande significato. Perfino tra i così detti “jihadisti” suscita più di qualche legittima perplessità.

Secondo diversi analisti, questa proclamazione costituirebbe una sorta di recita, probabilmente ispirata dal portavoce dello “stato islamico”, Abu Muhammad al-Adnani. Infatti, tutto appare studiato nei minimi dettagli. Nel video un’abile regia mostra l’aspirante califfo in situazioni tipiche di una dimensione islamica astratta, in cui si replicano comportamenti ricondotti alla tradizione profetica di Muhammad (Maometto). Vestito in nero, come emulo dei califfi abbasidi, che regnarono il mondo islamico sunnita da Bagdad tra il 750 e il 1258 dell’era cristiana, lo pseudocaliffo dirige la preghiera nella moschea di Mosul.

Nel suo discorso egli utilizza un consunto e scontato metalinguaggio islamico radicale, proclamando un jihad, riferendosi ai musulmani perseguitati nel mondo, al dovere di difendere la fede e di migrare (hijra) verso la “Terra dell’Islam”, come contrapposta alla “Terra della Guerra”, cioè la parte di pianeta non subordinata al “vero” islam, unicamente quello professato dal califfo Ibrahim, appunto. Si scaglia anche, come consuetudine dei radicali islamici, contro i musulmani “ipocriti” (al-munafiqun) e contro i miscredenti (al-kuffar). La conquista di Roma non è altro che un ulteriore colpo di teatro che si richiama anche a tradizioni islamiche di conquista vecchie di secoli, dove Roma era rappresentata come una mela rossa.

Persino il celebre predicatore (sunnita) egiziano Yusuf al-Qaradawi, vicino ai Fratelli musulmani, ha fortemente contestato la legittimità (in termini strettamente islamici) di questa autoproclamazione. Ibrahim Abu Bakr al Baghdadi con i suoi successi militari, che hanno posto sotto il suo controllo ampie zone della Siria orientale e dell’Iraq nord-occidentale, è anche riuscito nell’impensabile risultato di spingere Stati Uniti, Iran e Russia a unire le loro forze contro il comune nemico.

Lo “stato islamico” guidato da Baghdadi sarebbe riuscito a rompere con le altre componenti jihadiste della regione. Egli si sarebbe staccato più di un anno fa dal comando della misteriosa autorità centrale di al-Qa‘ida (ammettendo che esista un’autorità centrale) , entrando in conflitto sia con il successore di Usama bin Laden, l’ingegner Ayman al-Zawahiri, sia con l’ala siriana, sconfitta i giorni scorsi al fine di conquistare due importanti pozzi petroliferi. In un tale contesto, non si capisce proprio perché i media europei e “occidentali” abbiano dato tutta questa pubblicità a quella che è chiaramente poco più di una carnevalata, fatta a uso e consumo del pubblico non islamico o del popolo stravolto della regione siro-irachena. Se la forza militare del gruppo guidato da al-Baghdadi è fuori discussione, lo è altrettanto la sua legittimità politica e religiosa alla luce di questa pseudo proclamazione del califfato

La teoria del califfato in ambito sunnita fu definita in forma pressoché definitiva da vari autori vissuti a cavallo tra XI e XII secolo. In epoca ottomana (1299-1923) fu più volte ripresa ma trovò sempre lo stesso ostacolo: il califfo, che non è un uomo di religione, ma un politico particolarmente pio, deve essere di origine araba appartenente alla tribù dei Coreisciti, la stessa alla quale apparteneva il Profeta Muhammad. Nel caso degli Ottomani il problema non si pose granché visto che il sultano ottomano era questi frutto di unioni interetniche, quindi non arabo. Nel nostro caso, quello del così detto “califfato islamico” di al-Baghdadi, il problema si pone nel senso che, tanto per citare alcuni requisiti richiesti dalla teoria classica del califfato, è obbligatoria una scelta (ikhtiyar) da parte di un’assemblea di notabili musulmani (il famoso consiglio della shura), con un consenso favorevole dei dotti islamici (‘ulama’), possibilmente provenienti da centri islamici di chiara fama (come al-Azhar al Cairo). E, comunque, egli non è originario della tribù dei Coreisciti, qualunque pretesa di discendenza egli accampi.

Insomma, l’odierno “califfato islamico” ha la stessa credibilità e attendibilità di un ipotetico “califfato di Canicattì” o, per rifarsi a situazioni paradossali già riscontrate nei nostri poveri e malandati quotidiani italiani, di un “califfato di Carmagnola.

 

Nicola Melis. Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell’Università degli Studi di Cagliari, è specializzato in storia dell’Impero ottomano, con particolare riguardo per le aree mediterranee e africane. Ha insegnato lingua italiana presso l’Istituto Italiano di Cultura di Istanbul e lingua turca presso il Centro Linguistico d’Ateneo dell’Università di Cagliari. Attualmente insegna Storia e istituzioni dell’Africa e Storia e istituzioni dell’Africa mediterranea e del Vicino oriente.

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