Armenia: una civiltà minacciata


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(Bruno Scapini) – Il recente nuovo attacco militare sferrato all’Armenia dall’Azerbaijan lo scorso 27 settembre, nel contesto di una guerra che si protrae da oltre trent’anni per la sopravvivenza del Nagorno Karabagh, regione storicamente armena ma contesa da Baku, assume una connotazione diversa rispetto a episodi simili avvenuti nel passato. L’attacco, oltre che per ampiezza del fronte impegnato  (lungo tutta la linea di contatto del Karabagh) e intensità della violenza impiegata (con dispiegamento di batterie missilistiche), si distingue questa volta sopratutto per l’intervento della Turchia.

Che esistesse una profonda ostilità di Ankara avverso l’Armenia  era già ben noto per via degli eccidi di massa perpetrati dall’Impero Ottomano ai danni del popolo armeno fin dalla fine del XIX secolo. Eccidi che sono poi culminati in quello che è passato alla Storia come il primo Genocidio del XX secolo. Oltre 1.500.000 armeni furono eliminati nel 1915, passati per le armi o lasciati morire esanimi in lunghe marce della morte negli aridi deserti della Siria. Eppure la Turchia ancora si ostina a non riconoscere quel deprecabile disegno di sterminio, adducendo pretestuose ragioni di disordine politico e sociale.

Oggi i turchi tornano all’antico odio contro gli armeni. Non che lo avessero mai abbandonato questo sentimento in realtà, ma per lo meno sembrava che lo avessero camuffato dietro un velo di indifferenza per tutto quello che poteva accadere aldilà del confine.

Improvvisamente, il più recente attacco azero ha messo a nudo una drammatica verità: la Turchia, appoggiando dichiaratamente e con concrete forniture militari quelli che enfaticamente chiama  i “fratelli azeri” in una guerra combattuta dal popolo armeno per l’indipendenza e la libertà del Karabagh, svela al mondo intero le sue perverse intenzioni di annientamento di un popolo.

L’Europa rifiuta di far sentire la propria voce. Un po’ per una sindrome acquisita di debolezza politica, un po’ per un ingiustificato ossequio verso i fornitori di risorse energetiche, stenta a riconoscere che nella guerra del Nagorno Karabagh non è soltanto in gioco la libertà di un piccolo popolo, ma le radici della sua stessa civiltà. E’ innegabile l’esistenza tra l’Armenia e i Paesi europei, tra cui principalmente proprio l’Italia, di forti legami culturali e commerciali che affondano radici nei tempi più antichi. Il Regno di Armenia, primo Stato tra l’altro a adottare il cristianesimo come religione ufficiale, era stato il miglior alleato di Roma nella difesa dell’Impero dalle invasioni asiatiche. Ed è con gli armeni che i veneziani nel corso dei secoli hanno stretto e mantenuto forti relazioni commerciali. Lo testimonia l’esistenza ancor oggi a Venezia dell’Isola degli Armeni. E che dire poi di quel superbo movimento di rinascita culturale noto come Rinascimento, di cui proprio l’Italia vanta la massima espressione, al quale uomini di genio armeni, fuggendo dal dramma della capitolazione di Bisanzio per mano turca, hanno offerto un significativo contributo di crescita?

Non illudiamoci! Le antiche guerre tra cristiani e ottomani non sono storie di un passato dimenticato! Purtroppo perdurano, sotto differenti forme e con diverse modalità, esse si ripetono cogliendo altre occasioni a pretesto per configurarsi come uno scontro di civiltà. I cristiani, gli antichi infedeli di una visione islamica del mondo tesa alla sottomissione dell’Europa, oggi sembrano i perdenti. E là, proprio nelle terre in cui armeni e azeri oggi si confrontano in una guerra che sembra senza fine, là si continua a distruggere quanto possa ancora esistere a memoria della antica civiltà cristiana. In Azerbaijan come in Turchia antiche monumentali chiese cristiane sono state distrutte, abbandonate o profanate da una impudente laicizzazione che ne ha estirpato persino la croce. Così del pari i kachkar, stupende opere in pietra finemente cesellate, sacre icone di una fede portata dagli armeni con orgoglio e coraggio, sono state spazzate via, distrutte dalla spinta delle scavatrici e gettate in disprezzo dell’antica memoria nei fiumi perché la forza della corrente le porti via dalla Storia.

Al Genocidio umano si è così aggiunto quello culturale. La furia dell’odio turcomanno cancella i segni di una civiltà che è anche la nostra. La calpesta, la schiaccia, la mortifica. Le guerre non si combattono solo per interessi. C’è dell’altro quando le riteniamo giuste e necessarie: i valori. I valori etici e morali e sopratutto quelli di libertà. E’ con essi che si costruisce la Storia, quella vera, quella che conta. E in questa guerra del Karabagh sono i valori che spingono gli armeni a combatterla offrendo anche volontariamente la propria vita in sacrificio.

Bruno Scapini è nato a Roma nel 1949. Conseguita la laurea in Scienze Politiche presso l’Università La Sapienza, entra nella carriera diplomatica ricoprendo una molteplicità di rilevanti incarichi in Italia e all’estero. Più volte Console Generale, svolge importanti funzioni presso varie Ambasciate italiane e, da ultimo, quale Ambasciatore d’Italia in Armenia. Lascia la carriera diplomatica nel 2014, ma continua a occuparsi di politica internazionale tenendo conferenze e scrivendo articoli di analisi geopolitica.

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