Attentato a Robert Fico: una “lesson learned” (lezione imparata) della politica


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(BRUNO SCAPINI) – In altri tempi probabilmente Robert Fico, non sarebbe stato obiettivo di un attentato tanto vile per il modo in cui è stato condotto, quanto deprecabile per il senso che potrebbe avere. La estrazione politica del Premier slovacco, di affiliazione al Partito Comunista prima e, dopo, ad altro movimento in alternativa, non avrebbe di certo rappresentato un pericolo per le forze di opposizione che lo avrebbero osteggiato. Ma il corso storico che il mondo sta oggi attraversando è qualcosa di decisamente anomalo rispetto al passato. Oggi, non si parla più di ideologie, di programmi politicamente informati, e tanto meno di principi etici o morali da applicare alla politica. L’epoca del “fair play” è finito. Oggi prevale un potere atipico, destrutturato nelle sue articolazioni gerarchiche, orientato alla tecnocrazia finanziaria e soprattutto depoliticizzato.  Un elemento, questo, che lo distinguerebbe dai suoi più antichi modelli per la caratteristica di essere tendenzialmente  trasversale, subdolo e strisciante, e soprattutto non identificabile in determinati centri precostituiti.

Ecco allora che l’uomo portatore di un sano idealismo, impegnato nella tutela della sovranità popolare e incline a salvaguardare un legittimo primato dell’interesse nazionale su quello comunitario europeo, viene improvvisamente percepito come un pericolo, una minaccia, una sfida a quel potere che, sulla base di una pretestuosa primazia di Bruxelles, esige ossequio, rispetto e obbedienza.

Era noto l’atteggiamento sovranista del Primo Ministro slovacco. E nota era la sua opposizione, di cui ha fatto più volte stato a Bruxelles, all’invio di armi a Kiev e alla entrata dell’Ucraina nella NATO. Del pari nota era anche la sua contrarietà alle sanzioni contro Mosca. Tutte scelte libere queste, indubbiamente; scelte che in una società europea veramente democratica avrebbero dovuto essere accettate e rispettate. Ma evidentemente, le idee del Premier slovacco mal si adattavano alla attuale corrente di pensiero europeo che, recependo in tutto le istanze proposte dai poteri d’oltreoceano, hanno trovato in Robert Fico la perfetta incarnazione dell’ideale “filoputiniano”.

Orbene, appare evidente ora il messaggio che si vuole trasmettere con questo attentato. Al di là delle motivazioni che potrebbero spiegare il gesto sul piano personale dell’attentatore, e che ai nostri fini analitici poco rilevano, il tentativo di eliminare fisicamente Robert Fico riflette chiaramente la regola della “lesson learned” (lezione imparata).  In preda alla più tenace e irragionevole “russofobia”, di cui il pensiero occidentale è drasticamente intriso, i poteri euro-atlantisti puntano oggi ad una resa che potremmo definire… incondizionata della Russia, e spingono il conflitto in Ucraina sempre più in profondità, nonostante le evidenti debolezze militari di Kiev a fronte delle quali Washington promette sempre più armi e sempre più potenti.

Vittimizzare il leader slovacco sembrerebbe allora acquistare un senso; e non tanto per gli eventi bellici sul terreno, indicativi di una lenta, ma progressiva avanzata dei russi – a fermare la quale non basterebbe tuttavia il sacrificio di Fico – quanto per il contesto politico in cui l’Unione Europea, divenuta dispositivo tattico della NATO, oggi si troverebbe per via di una campagna elettorale europea condotta da una pluralità di forze politiche all’insegna della pace e nel ripudio della guerra. Ecco, dunque, la lezione che l’attentato a Fico intende impartire ai leader europei: non opporsi alla guerra in Ucraina e non contrastare quel processo già delineato da Bruxelles di procedere alla militarizzazione dell’Unione. Un progetto già più volte evocato negli ultimi tempi da Macron e da Ursula von der Leyen che consisterebbe nella trasformazione della Comunità Politica Europea, istituita come mera piattaforma di cooperazione in funzione anti-russa all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, in una struttura militare centralizzata. Un progetto sostenuto all’unisono anche da alti esponenti militari, tutti convinti che “una guerra contro la Russia sarà inevitabile entro il prossimo decennio” e che proprio in tale prospettiva occorrerà preparare i popoli europei e le giovani generazioni affinché si mobilitino adeguatamente sviluppando quella che appare ai nostri giorni essere la qualità suprema degli uomini e dei Governi: la resilienza!

 

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