Brevi cenni sul profilo storico dei flussi migratori


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(Laura Tocco – parte 1) – L’Italia, tra gli stati membri dell’Unione Europea, è uno di quei paesi che, da Paese di emigrazione quale era, diviene meta di immigrati. Molti dei paesi europei, infatti, iniziano a vivere un incremento significativo del numero degli immigrati. Nei primi anni Settanta, ancora memore delle storie che avevano spinto molti migranti a lasciare il Paese, l’Italia inizia a divenire meta di rotte migratorie provenienti dai paesi del terzo mondo. Si possono individuare tre fasi. La prima, degli anni Settanta, coinvolge un flusso migratorio proveniente prevalentemente dall’Africa. La seconda fase, degli anni Novanta, è segnata dai migranti di origine balcanica e delle nazionalità dell’Europa dell’est. Infatti, la geografia delle provenienze cambia in relazione a vicende politiche e internazionali che intaccano le condizioni di determinati contesti. Così, la caduta del Muro di Berlino e i mutamenti politici e sociali dei Balcani hanno contribuito a europeizzare il fenomeno scatenando movimenti migratori provenienti dall’Europa orientale. La fase successiva al Duemila registra ancora una prevalenza delle nazionalità provenienti dall’Europa dell’est.

Non è possibile fornire cifre esatte sugli immigrati, tuttavia, sulla base di recenti dati istat, possiamo affermare che la gran parte degli immigrati attuali proviene dal nord Africa e dall’Asia. I recenti avvenimenti del mondo arabo hanno scatenato un flusso di profughi e rifugiati dall’Asia, dall’Africa e dal Medio Oriente confermando il fatto che l’instabilità politica, minando le già precarie condizioni di vita, spinge molte persone ad accrescere la grande massa dei migranti. Tuttavia, i flussi migratori non sono relativi a una precisa condizione politica e non dipendono, come la storia dimostra, solamente da sussulti politici di un preciso contesto storico.

Il presente contributo non ha nessuna pretesa di esaustività ma si propone, invece, di fornire alcuni cenni storici e socio-demografici della geografia dei flussi migratori che hanno avuto come palcoscenico il bacino del Mediterraneo. Per questo motivo, occorre soffermarsi su due tragitti. Il primo è quello proveniente dai paesi del Vicino Oriente, mentre il secondo, uno dei flussi più consistenti al mondo, è quello che ha origine nell’Africa settentrionale e che, a sua volta, raccoglie movimenti che nascono nelle regioni dell’Africa sub-sahariana, alla volta dell’Europa. Nell’ambito di questi due grandi macro-rotte, i flussi migratori del Mediterraneo seguono cinque percorsi: dalla costa atlantica africana verso le isole Canarie; dal Marocco e l’Algeria verso l’Andalusia e le Baleari, Ceuta e Melilla; dall’Algeria alla Sardegna; dalla Tunisia, Libia, Egitto verso Sicilia, Malta, Lampedusa e Pantelleria; dalla Turchia e la Siria verso la Grecia.

 Flussi provenienti dall’area vicinorientale e mediorientale

La storia della rotta che ha origine nel Vicino Oriente è cadenzata da tappe storiche che hanno determinato la precarietà del contesto regionale. Precisamente, i conflitti arabo-israeliani e i disordini dell’area libanese hanno accresciuto i flussi migratori provenienti dalla Palestina e dai Paesi arabi confinanti. Questo tipo di tragitto verso l’Europa inizia a farsi sentire nei primi anni Settanta. Precisamente, il flusso migratorio palestinese non riguarda situazioni di estrema miseria, piuttosto è legato al venir meno della propria patria, occupata o, comunque, minacciata dalle forze israeliane. Per questo, lo studio di questo percorso migratorio non può prescindere da un’analisi storica e politica della regione. La questione palestinese e i conflitti a essa legati hanno plasmato e continuano a plasmare le rotte, la struttura e la distribuzione della diaspora. Già negli anni precedenti al 1948, il movimento sionista preparava, con le sue bande armate, le basi per la proclamazione del suo stato e costrinse milioni di palestinesi alle prime fughe.

Il 1948, anno in cui il movimento sionista annunciò la nascita dello stato di Israele, è impresso nella memoria di tutti i palestinesi. Meglio noto come nakba, ossia, “catastrofe”, il dramma del ’48 costrinse all’esilio circa 900 mila palestinesi.

Le guerre successive, quella dei Sei Giorni nel 1967 e quella dello Yom Kippur nel 1973, aumentarono di altre migliaia il numero dei profughi palestinesi. Ma la situazione peggiorò ulteriormente con l’occupazione israeliana del Libano nel 1982 e la tragedia di Ṣabrā e Shātīlā. Numerosi rifugiati libanesi andarono aumentando le fila dei già consistenti gruppi di sfollati. In tale sede, ho voluto ricordare solamente alcuni dei più importanti eventi che hanno segnato la storia del flusso migratorio del Vicino Oriente. Tuttavia, fino alla tragedia derivata dall’Operazione Piombo Fuso, le vicende che hanno aggravato le condizioni economiche e sociali dei palestinesi sono state molteplici. Di questa grande massa di profughi, buona parte si è recata nei Paesi arabi vicini, mentre un’altra componente ha scelto l’Europa. Negli anni del mondo bipolare, quest’ultima opzione si inseriva in un contesto particolare. I movimenti a favore del principio di autodeterminazione dei popoli possedevano un grande seguito a livello popolare ed erano sostenuti da personalità politiche di spessore. La scelta dell’Europa, infatti, era riconducibile alla possibilità di ottenere asilo politico.

Questa migrazione, quindi, non è mai stata scatenata da ragioni di povertà e miseria, piuttosto, è riconducibile a situazioni di ingiustizia causate dalla presenza soffocante di Israele che, da sempre, impedisce al popolo palestinese l’esercizio dei diritti fondamentali. Tale flusso, quindi, è legato alla violazione del diritto alla casa, alla scuola e, in generale, alla vita. I palestinesi iniziarono a migrare con la speranza di rendere giustizia al torto subito. Per queste ragioni, la diaspora palestinese è una costante della storia del Mediterraneo e la si può comprendere solamente inserendola nella storia dell’intero secolo XXI.

Un flusso migratorio di cui si parla molto è quello nato in Siria in seguito agli episodi del 2011. In generale, il percorso dei migranti siriani passa attraverso la Turchia per raggiungere la Grecia e, quindi, l’Europa. Secondo fonti dell’unhcr, oltre la metà della popolazione siriana avrebbe lasciato il Paese alla volta dei paesi limitrofi: Giordania, Libano, Turchia, Iraq, Egitto e Nord Africa. La presenza più significativa dei rifugiati siriani è quella in Giordania, Libano e Turchia, mentre campi profughi sono stati allestiti in Iraq, Giordania e Turchia. Come gli stessi rapporti delle agenzie umanitarie riferiscono, non è possibile fornire numeri esatti e, pertanto, sarebbe inopportuno parlare di sole cifre per spiegare il fenomeno con una certa attendibilità.

Sebbene anche la storia della Siria sia stata segnata da diverse ondate migratorie, le rotte verso l’estero non sembrano essere mai state di grande portata. Come fa notare il Migration Policy Center in un rapporto del giugno 2013, fino ai disordini del 2011, il territorio siriano era considerato prevalentemente un Paese di destinazione di flussi migratori. Qui, infatti, sussistevano le condizioni per condurre un’esistenza dignitosa. Non solo, ma i rifugiati palestinesi in Siria vivevano condizioni migliori rispetto a quelle delle comunità palestinesi in altri Paesi arabi. Per fare un esempio, fino al 2011, i palestinesi erano meglio inseriti nel mercato del lavoro, incluso quello relativo al settore pubblico dove era impiegato il 36% dei palestinesi.

In Siria, gli immigrati erano suddivisi in tre gruppi: i rifugiati, i lavoratori immigrati e gli immigrati in transito. I primi costituivano il gruppo più consistente, i secondi includevano lavoratori domestici provenienti prevalentemente dall’Asia del sud e impiegati altamente qualificati giunti in Siria in seguito alle riforme del 2005, mentre il terzo gruppo era costituito da immigrati provenienti dall’Asia e diretti verso altre destinazioni. Questo scenario è prova del fatto che fino all’esplosione del conflitto civile nel 2011, la Siria possedeva tutte le condizioni di stabilità per rappresentare una meta di destinazione. È importante sottolineare questo punto perché, attualmente, si parla molto di rifugiati siriani e, quindi, del flusso migratorio proveniente dalla Siria verso l’Europa attraverso la Turchia. Pertanto, è bene dare rilievo al fatto che l’onda migratoria più significativa proveniente dalla Siria nasca nel 2011, scatenata prevalentemente dalle condizioni di precarietà politica ed economica che si sono determinate all’interno dei confini siriani. In sintesi, se, in passato, Damasco era caratterizzata da una vita economica e culturale vivace, all’indomani degli scontri e della guerra tra bande, la città ha perso tutto il suo splendore economico e culturale, spingendo molti siriani a lasciare il Paese.

Un altro flusso significativo proveniente da questa macro-area è quello dell’Afghanistan che, a dodici anni dall’intervento militare, non solo risulta essere un Paese con ridotti livelli di sviluppo – si pensi, per esempio, all’indice di sviluppo umano, al reddito pro capite, alla mortalità infantile e ad altri indicatori simili – ma è anche frequentemente attraversato da violenze e da casi di precarietà sociale. Nel 2011, è stato registrato il maggior numero di vittime civili dall’inizio del conflitto. Anche l’Iraq è un’altra sorgente di rotta migratoria. Sebbene sia stato patria di un grande numero di rifugiati durante il governo di Saddam Hussein, dall’inizio delle operazioni militari sotto egida usa, l’Iraq continua ad essere caratterizzato da una forte instabilità politica che provoca un fenomeno di profughi interni ed esterni su larga scala. Anche in questo caso, la strada per l’Europa, quando intrapresa, è quella che passa per la Turchia.

 

Tratto da “Vecchi e nuovi viandanti: alle origini del fenomeno migratorio” in Middle Est- Le politiche nel Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore, 2014)

 

Laura Tocco (1984). Dottoranda di ricerca in Storia e Istituzioni del Vicino Oriente all’Università di Cagliari. Il suo filone di ricerca principale riguarda la storia contemporanea della Turchia e, nello specifico, lo studio della società civile turca. Ha svolto le sue ricerche in Turchia lavorando su fonti in lingua turca. Ha pubblicato articoli per diverse riviste e volumi. La sua tesi di laurea, Censura e società civile in Turchia: il caso Hrant Dink, ha ricevuto la Menzione Speciale al Premio Internazionale di Giornalismo Maria Grazia Cutuli.

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