Columbia University: il fattore climatico come concausa della guerra in Siria


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Secondo uno studio recente, curato dalla Columbia University, tra i molteplici fattori che hanno provocato la guerra in Siria, non si può trascurare il ruolo avuto da un’ondata di siccità straordinaria che tra il 2007 e il 2010 ha visto l’area della “mezzaluna fertile” ridurre sempre più la propria ricchezza di risorse. “Non stiamo dicendo che la siccità abbia provocato la guerra”, ha spiegato Richard Seager, climatologo della Columbia e coautore dello studio. “Quello che pensiamo è che, insieme a tutti gli altri fattori scatenanti, abbia aiutato a spingere gli eventi oltre la soglia di non ritorno, fino a scatenare il conflitto. Un’ondata di siccità così grave inoltre è di certo stata resa possibile, o quanto meno molto più probabile, dall’inaridimento della regione provocato dall’attività umana”

Ondata di siccità e riscaldamento globale

Tale siccità è da ricondursi all’impronta antropica sull’ambiente; o, in altre parole, al riscaldamento globale dovuto a gas serra e deforestazione. Intendiamoci, non stiamo dicendo che il cambiamento climatico è stata la causa scatenante di questa tragedia ancora in atto: anche perché in sua assenza l’uomo ha sempre e comunque provato il bisogno di sopraffare e distruggere i suoi simili. Semplicemente il lavoro pubblicato da PNAS mira a spiegare come “la gravità della siccità abbia avuto un ruolo importante nell’esacerbare le tensioni interne, nate da disoccupazione, da corruzione o da disuguaglianze sociali: il tutto innestato nel momento particolare in cui altri Paesi arabi vivevano le proprie rivoluzioni”.

Mezzaluna fertile: più caldo e meno pioggia

La recente siccità ha colpito la Mezzaluna Fertile estendendosi fino alla Turchia e coinvolgendo soprattutto Siria ed Iraq, regione generalmente interessata da oscillazioni climatiche. Il professor Colin Kelley della University of California, a capo del gruppo di ricerca, ha fatto ricorso a studi preesistenti e a dati più recenti per calcolare come si è modificata la temperatura negli ultimi decenni: ne è emerso che, in media, ci sarebbe stato un incremento pari a 1-1,2 gradi centigradi a sui ha corrisposto una riduzione nelle precipitazioni stagionali del 10%. Un trend che, secondo gli esperti, coinciderebbe perfettamente con quelli imputabili al riscaldamento globale e che, in ogni caso, non potrebbe essere attribuibile alla naturale variabilità della regione.

Una “tempesta perfetta” di circostanze

In particolare, l’innalzamento delle temperature ha avuto effetti sull’area in due modi distinti: in primo luogo indebolendo il sistema dei venti che portano le nubi dal Mediterraneo, con la conseguente diminuzione delle precipitazioni durante la stagione che va da novembre ad aprile. A questo si è aggiunto l’incremento dell’evaporazione dell’umidità dei suoli dovuto alle temperature ancor più alte delle consuete stagioni molto calde. Tali fenomeni atmosferici hanno portato, nel 2006, alla peggiore crisi di siccità (almeno da quando siamo in grado di registrarle) dell’area della Mezzaluna Fertile: ironia della sorte, proprio laddove l’agricoltura nacque, circa 12.000 anni fa.

La crisi agricola e l’urbanizzazione massiccia. Periferie come polveriere

A causa di questi fenomeni, gli effetti della siccità sono stati gravi ed immediati. La produzione agricola è crollata, colpendo soprattutto le coltivazioni nell’area nord orientale, diminuendo di circa un terzo in poco tempo, le mandrie di bestiame nelle zone più colpite sono praticamente sparite, il prezzo dei cereali è raddoppiato e le malattie in età infantile hanno visto un aumento drammatico. Tra le cause del crollo della produzione, secondo lo studio, ci sarebbe anche una politica agricola ultra quarantennale che ha posto l’accento sull’autosufficienza piuttosto che sulla sostenibilità.
Spinte da queste difficoltà, quasi un milione e mezzo di persone sarebbero fuggite dalle campagne, cercando rifugio nei sobborghi delle città già sovrappopolati dall’arrivo di rifugiati provenienti dall’Iraq. Proprio in queste periferie caotiche e colme di tensione, in precarie condizioni spesso determinate dalla difficoltà di accesso ad acqua ed elettricità, spiegano i ricercatori, avrebbero iniziato a montare le proteste che hanno poi scatenato la guerra in Siria.

Il futuro non è roseo. Almeno dal punto di vista climatico

“Cambiamenti demografici repentini incoraggiano l’instabilità”, scrivono gli autori dello studio. “Che sia stato un fattore primario o sostanziale è impossibile da stabilire, ma la siccità può di certo avere conseguenze devastanti quando è accompagnata da vulnerabilità preesistenti e acute”.

“Il punto è che – sempre secondo gli studiosi – la zona nei prossimi anni continuerà ad essere interessata da un innalzamento delle temperature e da un aumento del clima secco. E c’è da giurare che – stando agli avvenimenti degli ultimi anni, – ciò non potrà che influire negativamente nel tentativo di risolvere definitivamente le tensioni che interessano l’area”.

Non tutti gli studiosi sono d’accordo

“La rivolta ha più a che fare con il fallimento del Governo nel rispondere alla siccità, con la diffusione di un sentimento di malcontento nelle aree rurali e con l’aumento del divario tra ricchi e poveri e tra abitanti delle campagne e abitanti delle città nel corso degli anni 2000, piuttosto che con la siccità in sé.” – è il commento di Francesca de Châtel, dell’Università di Nimega, nei Paesi Bassi.
Gli studiosi americani accolgono parte delle critiche, ammettendo che il conflitto siriano, così come tutte le guerre, non ha e non può avere un’unica causa. Tuttavia tengono a sottolineare l’influenza negativa che gli effetti dei cambiamenti climatici possono esercitare in alcune aree del mondo, contribuendo a far crescere instabilità politica e malcontento popolare.

 

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