I capi dei servizi segreti di Israele e Turchia si sono incontrati in Turchia il 16 giugno scorso in vista dell’accordo per il ripristino dei rapporti bilaterali, annunciato ufficialmente a Roma dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu (in contemporanea ad Ankara l’omologo turco, Binali Yildirim, ha tenuto un discorso in diretta televisiva). Lo riferisce il quotidiano israeliano “Haaretz”, segnalando che il capo del Mossad, Yossi Cohen, e quello dell’Agenzia nazionale d’intelligence turca, Hakan Fidan, si sono incontrati in Turchia per definire “i principali termini” dell’accordo, con particolare riferimento alle attività di Hamas, il movimento islamico che controlla la Striscia di Gaza.
“In base all’accordo la Turchia non consentirà ad Hamas di portare avanti, pianificare o dirigere alcuna attività militare contro Israele – si legge sul quotidiano “Haaretz” -. Tuttavia, gli uffici di Hamas in Turchia potranno continuare ad operare a fini diplomatici”.
Il 24 giugno scorso il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha incontrato il leader del gruppo palestinese, Khaled Meshal, ad Istanbul, per discutere con lui di come risolvere le divergenze interpalestinesi e dell’assistenza umanitaria turca a Gaza. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva precisato invece nei giorni scorsi che la partecipazione di Hamas ad eventuali colloqui di pace non era una condizione per il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Israele.
L’accordo tra Turchia e Israele, secondo alcuni osservatori, è destinato a cambiare di nuovo la mappa delle alleanze in Medio Oriente e potrebbe influire anche sulla guerra in Siria. Come scrive il giornalista Alberto Negri su Il Sole 24 ore, “il punto chiave è la Siria. Israele occupa dal 1967 le alture siriane del Golan e la disgregazione del Paese è vista come un pericolo ma anche come un’opportunità per estendere l’influenza israeliana su un confine chiave e mettere ulteriormente sotto pressione gli Hezbollah sciiti libanesi. Assad e gli Hezbollah, appoggiati dall’Iran, sono nemici comuni sia per Israele che per la Turchia. Il presidente Erdogan ha dovuto ridimensionare i suoi piani espansionistici, già intaccati in Egitto dopo la caduta dei Fratelli Musulmani, e ora anche in Siria è sotto scacco dopo l’intervento russo e l’arretramento delle milizie jihadiste, una debàcle”.
Secondo Negri “Erdogan, spalleggiato dall’Arabia Saudita, si sta giocando il tutto per tutto nella battaglia di Aleppo: per questo, come rilevano gran parte delle fonti occidentali e della regione, ha spostato intorno alla città 6mila jihadisti per lo scontro finale contro Assad, le milizie iraniane e quelle Hezbollah appoggiate dai russi. Israele può aiutarlo tenendo sotto pressione gli Hezbollah ma anche negoziando con Putin con il quale Netanyahu si è incontrato in un vertice il 7 giugno scorso. Non può quindi sfuggire che l’accordo tra Ankara e Tel Aviv influenzerà anche la battaglia siriana e la futura spartizione per le zone di influenza del Medio Oriente”.