Fine del lockdown e numeri


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(Franco Murgia) – Abbiamo ormai superato le sei settimane dall’inizio del lockdown e la discussione nei media e nei social media impazza con un argomento su tutti: Fase 2, quando, dove e come si riparte? Fughe in avanti di qualche governatore, non a caso di stretta osservanza cdx con prevalenza Lega, fanno capire che è un tema facile da porre se si vuole mettere in difficoltà il governo, e, come del resto i commentatori, tutti poggiano le loro discussioni sui numeri. I numeri hanno un fascino e una potenza che discende dalla loro oggettività e quindi vengono scagliati come pietre verso chiunque ne contesti il ragionamento. Ma di che numeri parliamo? Se anche il sancta sanctorum de il Sole 24ore cade nella trappola dando spazio a sproloqui basati su numeri che anche un improvvisato lettore può smontare con facilità, è evidente che il problema è serio. Non che i numeri manchino, anzi. E’ che quelli che circolano sono davvero sovrabbondanti. Gli studi si sovrappongono, fatti con metodologie diverse, senza basi statistiche ma spacciati come tali, dando così modo ad ognuno di piegarli alle proprie esigenze. Un po’ come accade nell’informazione in cui la mole di dati disponibili, e scarsamente verificabili, consente a chi controlla i canali di comunicazione di veicolare solo quelli funzionali alle proprie tesi.

Lo studio delle pandemie, si sa, si basa, oltre che sull’analisi in laboratorio del virus responsabile, sulla sua capacità di trasmettersi, sull’incidenza dei casi, dei decessi, degli asintomatici, dei guariti e degli immuni. La parola chiave è “incidenza”, che presuppone uno studio statistico del fenomeno, e la statistica è scienza. I sondaggi elettorali, la misura degli indici di gradimento di persone, uomini politici o prodotti, sono ormai pane quotidiano e quindi abbiamo le competenze per applicare queste tecniche al Covid-19, ma nessuno, mi pare, sta proponendo questo approccio alla conoscenza del virus. Si va alla spicciolata con le regioni che fanno i test con metodologie diverse, spesso non note, aggiungendo così confusione alla già precaria situazione.

Eppure applicare metodi rigorosamente scientifici sarebbe semplice, con una semplificazione molto rilevante: i risultati non sarebbero inficiati dalle risposte, vista l’oggettività delle stesse, al netto delle incertezze nell’analisi. Non so quanti test sarebbero necessari, qualche migliaio? Diecimila? Non mi sembra un numero sconvolgente, visto che sono parecchie decine di migliaia quelli che si fanno ogni giorno, ma avremmo in mano una fotografia della REALE situazione da prendere come punto di riferimento per ogni decisione sulla prossima fase 2. E potremmo togliere lo strumento principe all’improvvisazione della politica spicciola, di maggioranza e minoranza, dei governatori e dei soloni che a vario titolo imperversano nei canali di comunicazione ammorbando il dibattito. Potremo finalmente scoprire quanti sono i malati, il reale tasso di decessi, di guariti e di asintomatici. Una bella semplificazione all’azione di chi deve dirci come uscirne.

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