(Alessandro Aramu) – L’autore della strage al museo ebraico di Bruxelles del 24 maggio, dove sono morte 4 persone, sarebbe un ex combattente dello “Stato islamico in Iraq e nel Levante” (ISIS), un gruppo jihadista attivo soprattutto in Siria dove il sospettato ha soggiornato dalla fine del 2012 per oltre un anno “prima di far perdere le tracce”. Si chiama Mehdi Nemmouche, ha 29 anni, ed è stato arrestato alla stazione ferroviaria marsigliese di Saint-Charles dai servizi doganali, che l’hanno trovato su un pullman proveniente da Amsterdam e Bruxelles. Il fermo di Nemmouche può durare fino a martedì ma può essere prolungato a 144 ore nel caso il rilascio rappresentasse un’imminente minaccia terroristica.
Con sé aveva un fucile kalashnikov (avvolto in un telo dove erano presenti iscrizioni proprio dell’ISIS) e una pistola con munizioni dello stesso tipo di quelle usate nella strage e una telecamera. Sarebbe stato schedato come seguace della jihad islamica in Siria dai servizi interni francesi (DGSI).
L’uomo è stato incastrato da un video di 40 secondi nel quale il sospettato inquadra le armi in suo possesso e si sente la sua voce che dice: “Al museo ebraico la telecamera non ha funzionato”. Nemmouche, originario di Roubaix, nel nord della Francia, in passato era stato condannato e messo in carcere per ben cinque volte, in particolare a Lille e Tolone. L’operazione anti terrorismo condotta in Francia ha portato ad altri 4 arresti nella regione di Parigi e nel sud del paese. Le persone sono finite in carcere per avere legami con “una filiera jihadista”. Il ministro dell’Interno, Beranrd Cazeneuve, è stato categorico: “Ci sono persone che reclutano degli jihadisti”.
Intanto si moltiplicano i casi di “occidentali” presenti in Siria al fianco dei gruppi armati jihadisti. Difficile fare una stima: secondo i report di alcuni servizi di intelligence sarebbero circa 2400 i combattenti presenti nel paese arabo. Un esercito di persone dotate di passaporti perfettamente legali, che consentono loro di viaggiare liberamente in tutti i Paesi dell’area Schengen. Bombe a orologeria, pronte ad esplodere, proprio come nel caso di Mehdi Nemmouche. Si tratta di estremisti delusi dal fallimento della lotta contro Assad e decisi a mettere la loro esperienza bellica al servizio del terrorismo internazionale, per colpire in Europa o negli Stati Uniti.
Il coordinatore dell’anti-terrorismo Ue, Gilles de Kerckove, ha affermato invece che sono almeno 4000 gli europei sospettati di essere diretti verso la Siria per unirsi ai gruppi jihadisti contro Assad, quasi il doppio della cifra diffusa fino a qualche mese fa: “Abbiamo giovani – ha spiegato – in cerca di avventure emozionanti. È un po’ triste da dire, ma devono essere stufi delle gioie dei giochi virtuali su internet e pensano che fare la guerra dia emozione”.
Il 4 febbraio scorso il direttore della National Intelligence americana, James Clapper, aveva detto al Congresso che circa 50 cittadini degli Stati Uniti si sono uniti ai terroristi in Siria. E dagli Stati Uniti arriva anche la storia di Nicholas Michael Teausant, un californiano membro della Guardia Nazionale, arrestato qualche mese fa al confine con il Canada. Voleva espatriare per poi andare in Siria a combattere con gli jihadisti. Sui media la faccenda è passata quasi inosservata, ma i servizi di intelligence americani sono fortemente preoccupati per un fenomeno in drammatico aumento.
Il percorso è abbastanza simile per tutti. Vengono reclutati in Europa, via internet o attraverso organizzazioni come Hizb al Tahrir, e trasferiti nelle basi della Turchia sud orientale. I loro passaporti vengono consegnati ad altri jihadisti che li somigliano, per farli entrare liberamente in Europa e costruire cellule. Una volta imparate le tecniche di combattimento, inclusa la costruzione di autobombe e giubbotti da kamikaze, attraversano il confine, con identificativi siriani, ed entrano in azione. Vengono soprattutto da Francia, Germania, Gran Bretagna, ma anche Danimarca, Olanda, Norvegia, Belgio, Austria e Italia. In genere finiscono nei gruppi più estremisti, come Jabhat al Nusra e l’ISIS. Nel nostro paese sono una decina i militanti “sotto osservazione”. Il reclutamento, e questa è la vera novità, ora mira soprattutto ai ragazzi incensurati. I numeri negli ultimi mesi sono aumentati.
Sono 500 i cittadini europei rimpatriati dalla Turchia dall’inizio del conflitto siriano. Clamoroso il caso di un giovane francese segnalato dalla stessa madre che ha chiesto alle autorità di fermarlo in aeroporto a Parigi. La polizia, dopo averlo interrogato, ha deciso di lasciarlo partire. Preoccupa anche il deficit di comunicazione tra i paesi , come testimonia la scoperta di un camion carico di armi che, partito dalla Germania, ha attraversato l’intero continente prima di essere fermato, per caso, in Turchia.
Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).
(twitter@AleAramu)