IL CASO/ Affido e tutela dei minori, ma la protezione sociale non esiste


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(Simona Planu) – Di piazze riempite a seconda dell’opportunità elettorale del momento siamo ormai abituati. E mentre in Italia ci si fa a pezzi per il “benessere” dei bambini, l’agenzia dell’Unione Europea, Europol, ci ricorda che nel nostro bel paese, nell’ultimo anno, sono scomparsi, circa 5000 minori. Sono la metà dei minori stranieri scomparsi in tutta Europa, bambini di cui non si ha più notizia. L’Europol non ci dice però che uno dei suoi compiti è quello di aiutare gli Stati membri nella gestione del sistema hotspots, la nuova trovata Europea per aggirare il Diritto d’Asilo. La cancellazione dell’identità non riguarda solo i bambini; risucchiati da un sistema burocratico farraginoso molti stranieri vivono all’ombra del lavoro sommerso, dello sfruttamento e della criminalità. In Italia, dietro la propaganda di quartiere e la politica della falsa morale e delle belle parole, un sistema che di accogliente ha veramente poco sembra fare da spalla all’illegalità diffusa.

Non è la prima volta che si sente parlare del fenomeno; è in occasione della Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che la Caritas diffonde le prime stime sull’anno in corso. Nel 2014, invece, era stata l’Ong Save the Children Italia a proporre una Legge di modifica in materia di protezione dei minori non accompagnati.

La condizione di minore porta con sé un’ estensione di diritti che mancano, nella pratica, dell’effettiva applicabilità. Una regolamentazione giuridica contraddittoria combinata con un sistema di protezione non adatto a gestire i fenomeni sociali derivanti dai processi migratori accrescono la vulnerabilità e l’esposizione ai rischi.

Le analisi fatte dalle organizzazioni che si occupano di immigrazione in Italia, hanno rivelato che sono gli stessi minori a non voler essere identificati e che preferiscono non richiedere la protezione internazionale.

I perché sono tanti: dal regolamento di Dublino, che permette la richiesta d’asilo nel solo paese d’arrivo, alle lungaggini burocratiche per l’identificazione e ricerca di relazioni parentali, magari in altri paesi europei. Se è vero che dietro queste ragioni c’è una scelta che non contempla il nostro paese come destinazione finale del viaggio,  la carenza del servizio di presa in carico del minore e dei relativi percorsi formativi e professionali non aiuta a evitare una condizione di clandestinità che lo espone alla mercé di sfruttatori e criminali.

La partita si gioca tra il dentro e fuori i centri di accoglienza, tra la realtà dei fatti e un’aspettativa  ancora incerta, tra quello che si presenta come legale e ciò che invece è illecito. Per avere un’idea di quella che è la prima accoglienza oggi, l’avvocato Alessandra Ballerini nel suo blog “apre” le porte del sistema Hotspots di Lampedusa. L’approccio Hotspot, presentato poco più di tre mesi fa con toni entusiastici dal commissario al’immigrazione dell’Unione Europea Dimitris Avramopoulos, è in realtà un mondo chiuso dove la carenza dei servizi minimi si combina con l’assenza di un sistema sociale efficiente. Pensando ai bambini, uomini e donne che affrontano la drammaticità del viaggio, con un bagaglio di vita certo diverso, senza pietismo e false ipocrisie, è davvero questo il meglio che possiamo offrire?

Il peso della domanda è forse commisurato alla risposta. Nell’incontro con l’altro, per forza si è costretti a guardare se stessi e, che ci piaccia o no, quello che presentiamo è niente più e niente meno il sistema di regole sul quale si basa il nostro paese. Lo sguardo è rivolto alle politiche del lavoro, che non garantiscono un sistema di protezione, di dignità sociale, che  incentivano il regno del sommerso o la massa degli esclusi, mondi dove spariscono in tanti; Politiche del lavoro che  trasformano lavoratori “regolari” in persone senza diritti sindacali, ma che sono riconosciuti dall’istituto di previdenza sociale nel suo bilancio annuale.  In tema di discriminazioni e pari opportunità, sono le politiche sociali le grandi assenti, la cui gestione per l’accesso ai servizi socio-sanitari sembra affidata all’agenzia delle entrate.

Aldilà del caso particolare, in Italia è la pretesa di non considerare la consequenzialità che lega i diritti civili, economici, sociali e culturali  a generare o consolidare un processo a metà e un sistema discriminante e di sfruttamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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