Intervista. La Siria si prepara al voto, tra avanzate dell’esercito e disinformazione


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(Carla Melis) – “Di Siria hanno scritto in tanti, in troppi l’hanno fatto senza essere mai stati nel paese, senza aver mai parlato con un siriano e senza conoscere i fatti, mentre chi sapeva cosa stava succedendo ha preferito tacere”. Inizia il suo racconto con una nota critica sul ruolo dei media, Naman Tarcha, giornalista per il Fatto Quotidiano e collaboratore dell’Agenzia d’informazione Zenit e della rivista Terra Santa. Tarcha è un ricercatore, esperto della situazione politico sociale dell’area mediorientale e del sistema dei mass media arabi.

Qual è la situazione in Siria oggi e cosa è cambiato rispetto ad un anno fa?

Sono cambiate molte cose. Rispetto all’anno scorso la posizione dei sostenitori di Assad è nettamente migliorata. E’ di pochi giorni fa la notizia di un accordo tra il sindaco di Homs, l’esercito e la commissione per la riconciliazione nazionale e i terroristi che da due anni erano rimasti assediati nella città. Questi ultimi hanno accettato di lasciare le loro postazioni, nella città che è stata considerata la capitale della rivoluzione. Si tratta di una vittoria dell’esercito, che con la chiusura del confine col Libano ha privato i terroristi di qualsiasi rifornimento e li ha, di fatto, costrutti ad accettare il patto. Un patto che prevede anche il rilascio di alcuni rapiti, in altre parti del paese: ad Aleppo sono stati liberati 15 militari, 12 bambini e 3 donne.

Da Aleppo arrivano ogni giorno notizie terribili: che cosa sta accadendo nella tua città?

In realtà, anche qui l’esercito continua ad avanzare, al momento nella zona industriale della città. I risultati di Homs potrebbero essere replicati.

Cosa c’è da aspettarsi in vista delle elezioni di giugno?

Le elezioni sono una sfida, anche dal punto di vista militare. L’accordo appena raggiunto e l’avanzata dei militari ad Aleppo hanno mostrato chiaramente la debolezza dei terroristi in questa fase, ma anche dell’opposizione, che per questo motivo teme le elezioni. E’ cresciuto, rispetto ad un anno fa, il numero dei sostenitori potenziali di Assad, non solo per il personaggio in se, ma per quello che rappresenta per la Siria e cioè la sua unità e democrazia. Si potrebbe pensare ad una vittoria di Assad, ma il futuro della Siria, dipenderà anche dall’evoluzione del contesto internazionale. Qui le elezioni sono state screditate persino dall’ONU, con argomentazioni insussistenti, come quella dell’inopportunità di procedere al voto in un momento di conflitto armato. Non capisco perché questo debba valere per la Siria e non per la Libia, o per l’Afghanistan, dove il conflitto armato di fatto non si è mai interrotto. Lo stesso Ban Ki Moon non fa altro che riproporre la posizione degli Stati Uniti, invece che di fare da mediatore e garante del voto democratico, un ruolo che l’ONU non ha svolto pur avendo tutti gli strumenti per sapere cosa stava accadendo veramente nel paese.

Quale ruolo hanno svolto i media nella vicenda siriana?

Sui media posso dire che la stampa italiana ha creato solo molta confusione. Nel leggere le notizie relative alla Siria la gente non può che essere in difficoltà, perché gli stessi giornalisti che fino a qualche tempo fa osannavano la rivoluzione siriana e le primavere arabe, oggi piangono i siriani uccisi per mano dei terroristi. Dall’inizio la crisi siriana è stata trattata con molta approssimazione e questo ha fatto danni. Ci sono due aspetti generali che riguardano l’informazione in Italia, che hanno contribuito a questa confusione: il primo è la quasi totale assenza di un’informazione di qualità sulla politica estera. Sembra che l’argomento non abbia rilevanza per l’opinione pubblica nazionale. Il secondo aspetto è la cattiva abitudine a non verificare le fonti. In nome di una mal interpretata libertà d’espressione si è dato spazio a notizie e foto false, bufale, storie non verificate. In ogni scuola di giornalismo l’obbligo di verificare le fonti è la prima cosa che si impara, ma questo non viene fatto e, a mio avviso, pubblicare notizie parziali e foto di un certo tipo equivale a prendere posizione nel conflitto.

La condizione dei cristiani nel tuo paese è drammatica. E’ azzardato dire che c’è una sorta di genocidio nei confronti dei cristiani siriani?

Chiariamo prima una cosa: i cristiani in Siria non sono mai stati una minoranza. Il primo premier siriano era un cristiano scelto da musulmani. Sono a tutti gli effetti siriani, che si sentono responsabili per il loro paese. Ora, la cosiddetta rivoluzione siriana è portata avanti da terroristi di matrice sunnita salafita, estremisti che di natura non accettano l’altro, cioè la diversità in generale. Non accettano le altre correnti dell’Islam, figuriamoci i cristiani, che non solo vengono considerati infedeli, ma anche vicini all’Occidente. La loro rivoluzione non era ispirata da principi di democrazia, che è invece ben rappresentata dai cristiani in Siria. Per questo motivo sono diventati loro un bersaglio dell’azione terroristica, come avviene nei conflitti di questo genere, dove sono i più pacifici e democratici che pagano il prezzo della guerra.

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