Al Jazeera: isola di libertà o megafono delle guerre?


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(Naman Tarcha) – La maggior parte delle mogli nei paesi arabi aveva due rivali: le partite di calcio e Al Jazeera. Lasciamo da parte la febbre calcistica simile in tutto il mondo, soprattutto di questi tempi, e focalizziamoci sul canale arabo all news più seguito e padrone delle serate, che sta vivendo un momento molto particolare: Al Jazeera, la tv satellitare del Qatar, che ormai, più che Isola, (il significato del suo nome), è isolata.

Questo canale è stato fondato nel 1996 dal principe Hamad bin Khalifa al Thani, definito l’uomo più carismatico del Paese, che aveva in mente di trasformare il più piccolo paese del golfo da ricco produttore di gas a un punto di riferimento del Mondo Arabo.

Notizie, approfondimenti, informazione articolata e una rete infinita di corrispondenti in tutto il mondo sono il segreto del grande successo iniziale. Ma presto iniziano i problemi di Al Jazeera: l’eccessiva libertà nella linea editoriale e la malcelata volontà di influenzare il pubblico sono tra le principali accuse. Una televisione quindi scomoda, che più volte fa “arrabbiare” i paesi arabi. Al Jazeera si dichiara non di parte ed obiettiva, parole troppo impegnative per un network che ha un padrone con una linea politica precisa, criticata dai governi arabi ma anche dagli Stati Uniti.

Nel 2005, l’ex segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, accusò l’emittente di essere dichiaratamente anti-americana e di promuovere il terrorismo e l’amministrazione Bush l’aveva definita un’emittente terroristica e portavoce degli interessi di Al Qaeda. Malgrado tutte queste critiche, Al Jazeera è sbarcata l’anno scorso negli Stati Uniti.

La rete è spesso accusata di fomentare e incitare i conflitti a causa del suo metodo di trattare gli argomenti in modo ideologico, di ingrandirli, di criticare in modo selettivo, preservando e difendendo sempre suoi padroni del Qatar e loro alleati.

Nessuna notizia sul processo inattuato di democratizzazione del paese a lungo promesso, che continua ad essere una monarchia assoluta, senza elezioni né politiche né amministrative, mentre il principe Hamad Al Thani che, nel totale silenzio, ha dovuto abdicare e lasciare il potere a suo figlio Tamim. Una sorta di colpo di stato bianco e la notizia è passata quasi inosservata sia ad Al Jazeera, sia nell’informazione occidentale, per non distabilizzare l’immagine di uno dei principali investitori in Europa.

L’emittente televisiva quindi, accusata spesso di essere vicina al Movimento dei Fratelli musulmani, evita accuratamente di attaccare l’Arabia Saudita, o criticare il Bahrain, mentre cerca di tenere buoni i vicini in Kuwait, gli amici negli Emirati arabi e gli alleati Turchia. Sono stati infatti i vari conflitti nei paesi arabi a svelare il vero volto di Al Jazeera e la sua agenda. Ogni volta che scoppiava una crisi tutto era pronto: gli invitati, gli spot, e perfino i testimoni oculari; e così partivano le dirette per seguire le varie crisi definite “Rivoluzioni”. La professionalità percepita del canale comincia a venire meno, anche a causa della trasmissione di notizie rivelatesi costruite ad hoc, e video di dubbie provenienza e fonti non verificate.

Queste attività raggiungono il loro culmine durante gli scontri e i disordini che stravolgono il Nord Africa e il Medio Oriente, quando il network viene accusato di alimentare le divisioni settarie, etniche e religiose, e di fomentare i conflitti, combattendo una vera guerra mediatica contro tutti i nemici del Qatar. Se da un lato si oscurano le rivolte interne nei paesi del golfo, dall’altro ci si schiera con le opposizioni volte a far cadere i governi non amici, appoggiando in pieno la strategia interventista dell’Occidentale (esempio eclatante l’appoggio all’intervento militare in Libia , con la partecipazione del Qatar).

Ed è a questo punto che il network proprio in questo momento delicato inizia a perdere punti. Proprio all’inizio della crisi siriana inizia ad Al Jazeera la fuga di massa dei giornalisti, alcuni eccellenti, come l’ex direttore dell’ufficio di Beirut, Ghassan Bin Jeddo nonché una lunga lista di volti principali del canale. Ufficialmente si dirà per questioni interne, ma il vero motivo sembra essere il loro senso di responsabilità ed etica professionale, che li spinge a licenziarsi per protesta, in disaccordo con la direzione accusata di disinformazione e falsificazione dei fatti in Siria.

Oggi le cose sembrano ulteriormente peggiorate: mentre tanti paesi hanno chiuso forzatamente gli uffici di Al Jazeera, negandogli il permesso di riprendere e trasmettere dai propri territori, come in Iraq e Siria, ci sono casi eclatanti come quello dell’Egitto dove giornalisti e operatori sono stati condannati a sette anni di detenzione, per terrorismo e attentato alla sicurezza nazionale.

Il danno all’immagine è enorme, calano gli ascolti, e la reazione del pubblico diventa sempre più violenta: si cancella il canale dai propri ricevitori satellitari, e i giornalisti della rete sono costretti, spesso, ad interrompere i collegamenti e allontanarsi dalle piazze al grido “Al Jazeera torna a casa tua.”

Quello dell’emittente di Doha, quindi, riporta d’attualità il tema dell’allineamento dei giornalisti alla politica del proprio canale e dei suoi proprietari, e della grande responsabilità di chi fa informazione quando la parola diventa un’arma che distrugge paesi e provoca vittime, a volte come e più delle stesse bombe.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

Naman Tarcha. Giornalista e conduttore tv.  Nato ad Aleppo, in Siria, si è laureato in Comunicazione all’Università Salesiana di Roma. Ha firmato molti articoli, reportage e servizi video sui temi dell’immigrazione e della cultura araba. Speaker e doppiatore, è stato redattore e conduttore del canale Babel tv di Sky. Coautore di “Media arabi e Cultura nel Mediterraneo” Edito da Gangemi nel 2009.

 
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