La dittatura el-Sisi, Obama, e il difficile cammino della democrazia (Parte seconda)


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di Antonio Perra

In una svolta drammatica, e per un certo verso ironica, le politiche di Morsi si rivelarono devastanti per l’Egitto, e conseguentemente per gli Stati Uniti. Infatti, nonostante le elezioni ebbero il beneficio di porre fine ad una dittatura di circa 60 anni, l’attenzione di Morsi nel proporre la sua agenda Islamica alieno’ le parti laiche della società’ Egiziana e gli impedì’ di concentrarsi su quei problemi sociali ed economici che lo avevano portato al potere in primo luogo. Morsi interpreto’ la sua sottile vittoria come “un mandato per governare da solo”, dandosi nuovi poteri attraverso la nuova Costituzione e “spendendo più’ tempo pregando anziché firmando accordi commerciali”.[1] Come riportato dal Financial Post, “Durante lo scorso anno le condizioni economiche dell’Egitto sono andate di male in peggio”, un dato condiviso da ben l’80% della popolazione.[2] Cosi’, gia’ nel Novembre 2013, decine di migliaia di persone presero di nuovo le piazze, chiedendo questa volta le dimissioni di Morsi.

L’amministrazione Obama rimase ancora una volta inerte dinanzi alle nuove proteste, divisa nell’eterno dilemma tra idealismo e pragmatismo. Da un lato, il governo Morsi preoccupo’ gli Stati Uniti per via della sua agenda prettamente Islamica, ma dall’altro, il bisogno di trovare punti di cooperazione con l’Egitto per la questione del Sinai, della pace con Israele, e di svariati programmi di strategia antiterroristica, impedi’ ad Obama di adottare un approccio certo e definitivo durante le proteste. Cosi’, durante le manifestazioni anti-Morsi dell’estate 2013, molti Egiziani brandirono cartelli con scritte come “Il governo Americano supporta il terrorismo”, e “il governo Americano collabora con regimi fascisti”.[3] Tuttavia, e’ importante notare che le proteste erano quantomeno caotiche perche’, come sottolineato da Noam Chomsky, “le persone erano fortemente divise”.[4] Se da un lato e’ vero che Cairo era di nuovo sopraffatto dalle proteste, e’ altresi’ vero che un numero significativo di persone supportava il presidente eletto Morsi, e con lui, lo stesso concetto di democrazia.

Nel Luglio 2013 tuttavia, oltre 22 milioni di firme furono raccolte dalla fazione anti-Morsi chiedendone le dimissioni. Approfittando dell’occasione, poco prima del colpo di stato, il CSFA mando’ a Morsi un ultimatum, dichiarando che il presidente aveva 48 ore per rispondere alla volonta’ delle persone o le forze armate avrebbero “imposto il proprio piano d’azione per il futuro”.[5] Cosi’, approfittando del rifiuto di Morsi, il Generale Fattah el-Sisi prese il potere, rovesaciando il governo Morsi e arrestando numerosi membri dei Fratelli Musulmani, ed innescando una guerra civile che gia’ dai primi gironi costo’ la vita ad oltre 1000 Egiziani, e venne definita dal Human Rights Watch “il piu’ grave incidente di uccisioni di massa illegali nella storia moderna dell’Egitto.”[6]

La reazione di Obama fu, nuovamente, ambigua. Inizialmente, mentre le notizie del giro di vite di el-Sisi contro i sostenitori dei Fratelli Musulmani arrivarono a Washington, Obama irrigidi’ la propria posizione, cancellando un’esercitazione militare congiunta, mettendo in pausa futuri programmi di assistenza economica per l’Egitto, e dichiarando, durante una conferenza stampa nell’Agosto 2013, che “la nostra cooperazione non puo’ continuare come da tradizione quando civili vengono uccisi nelle strade e i diritti vengono cancellati”.[7] Tale posizione venne comunque corretta in poco tempo, quando il Segretaro di Stato John Kerry, durante un incontro con il Ministro degli Esteri Egiziano Nabil Fahmy nel Novembre 2013, dichiaro’: “Questa problema degli aiuti economici e’ un problema molto piccolo tra i nostri governi, e il governo Egiziano lo ha gestito molto delicatamente e sensibilmente”.[8] Ad ogni modo, il colpo di stato del 3 Luglio 2013, mise in effetti Obama in una situazione impossibile, riducendo considerevolmente le sue possibilita’ di fare, per cosi’ dire, la scelta giusta. Infatti, quando gli Stati Uniti favorirono un leader laico come Mubarak, vennero accusati di favorire un dittatore, attirando le polemiche delle fazioni Islamiche della societa’. Conversamente, quando Obama espresse supporto per Morsi, l’amministrazione venne accusata dalla fazione laica di supportare l’Islamismo politico e di favorire un leader che perseguiva un’agenda politica strettamente Islamica. Dopo la caduta di Morsi e la presa di potere di el-Sisi, Obama si trovo’ nel mezzo di un fuoco incrociato tra la fazione pro-Morsi che lo accusava di supportare un regime militare, e quella anti-Islamista che lo accusava di supportare i Fratelli Musulmani.[9] In poche parole, sembrava che, qualunque sarebbe stata la sua prossima mossa, Obama sarebbe finito “dalla parte sbagliata della storia”.[10]

In questo contesto, non e’ sorprendente che Obama cerco’ di distanziarsi dal nuovo dittatore senza rompere completamente i legami. Come dichiaro’ durante l’assemblea generale delle Nazioni Uniti nel Settembre 2013, “Gli Stati Uniti collaboreranno, a volte, con governi che non rispettano, almeno nella nostra opinione, i piu’ alti standard di legge internazionale, ma che condividono con noi i nostri interessi primari”.[11] Cio’ era dovuto al fatto che, nonostante i nuovi problemi dell’Egitto, l’amministrazione Obama era piu’ preoccupata con gli sviluppi relativi alle negoziazioni per l’accordo sul nucleare con l’Iran, quelle di pace tra Israele e Palestina, e, soprattutto, una risoluzione politica della crisi in Siria. Inoltre, privato del supporto politico per espandere il proprio impegno in Egitto, visto che solo il 16% tra Repubblicani e Democratici erano a favore di un maggior intervento, Obama semplicemente accetto’ il nuovo status quo.[12]

Nel Maggio 2014, el-Sisi divenne ufficialmente Presidente, con un’impressionante maggioranza dei voti del 96.1%.[13] La telefonata di Obama che segui’ la nomina di el-Sisi, durante la quale il presidente Statunitense si congratulo’ per il risultato delle elezioni, deve comunque essere contestualizzata nel piu’ ampio scenario geopolitico sviluppatosi con l’esplosione della guerra civile in Siria, la quale, deviando l’attenzione della Casa Bianca da Cairo a Damasco, rinforzo’ l’importanza strategica che l’Egitto aveva, ed ha tutt’ora, per gli Stati Uniti.

La guerra civile esplosa tra le forze di Assad e i ribelli in seguito alla “Primavera di Damasco”, costituisce uno dei piu’ drammatici eventi dei nostri tempi, con dati che rendono il conflitto ancora piu’ drammatico. Oltre 4 milioni di Siriani hanno cercato rifugio in Turchia, Lebano, Giordania, Egitto, e svariati paesi in Europa; circa 250.000 persone sono state uccise, 13 milioni sono in disperato bisogno di assistenza umanitaria, ed oltre il 50% della popolazione Siriana e’ dispersa.[14] Violenze religiose sono poi esplose dentro e fuori il paese, e gruppi come al-Qaeda e ISIS hanno approfittato del vuoto di potere per raggiungere il loro obbiettivo di “un bagno di sangue apocalittico”,[15] mettendo a ferro e fuoco la Siria prima, l’Iraq dopo, e in fine l’intera regione. A complicare ulteriormente le cose, la coalizione internazionale formatasi per sconfiggere l’ISIS, persegue obbiettivi di politica estera diversi e incompatibili che rendono le negoziazioni pressoche’ impossibili.

Il caotico sviluppo in Siria ed Iraq ha, compresibilmente, trasformato l’approccio di Obama sulla questione della democrazia in Egitto, incrementando anzi l’interesse della Casa Bianca in el-Sisi. Consapevole del disastroso risultato dell’invasione in Iraq del 2003, Obama ha adottato una strategia basata sul “lavorare con partners e alleati nella regione per riprendere il controllo di territori non governati, e abbattendo direttamente i gruppi e gli individui piu’ pericolosi”, come espresso dal Dipartimento di Stato Statunitense gia’ nel 2012.[16] Nel Gennaio 2014, la Presidential Policy Directive PPD/27 confermo’ che il governo Statunitense avrebbe infatti assicurato continuo supporto militare ai suoi alleati e partners,[17] verosimilmente per la gioia di el-Sisi. Con gli Stati Uniti disposti a chiudere un occhio sulla sua condotta domestica per piu’ ampi obbiettivi geostrategici, i prospetti per una democrazia in Egitto sono effettivamente archiviati. Infatti, non ci sono dubbi che la situazione in Egitto divento’ in breve tempo una preoccupazione minore per l’amministrazione Obama. Nel Febbraio 2015, il documento contenente la Strategia di Sicurezza Nazionale Americana confermo’ che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto “cooperazione strategica con l’Egitto per permettergli di rispondere alle minacce per la sua sicurezza”.[18] Tale norma pero’, disponeva anche gli aiuti militari di alto profilo, come F-16, elicotteri Apache, missili Harpoon, e carri armati M1A1, venissero congelati in attesa della restaurazione di istituzioni democratiche.

Tuttavia, e realisticamente per via delle mezze posizioni adottate dall’amministrazione Obama negli anni precedenti, el-Sisi fu in grado di contestare e resistere alla pressione internazionale sulla sua politica domestica. Spiegando che la sospensione degli aiuti militari sarebbe stata interpretata come un segno che gli Stati Uniti non supportavano l’Egitto nella lotta al terrorismo, el-Sisi propose una coalizione di stati Arabi (che includeva l’Arabia Saudita, il Kuwait la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti) per contrastare l’avanzata dell’ISIS. Anche se la coalizione non venne mai formalizzata, la manovra aiuto’ el-Sisi a riaffermare la propria centralita’ per la lotta contro i jihadisti. Ancora piu’ importante fu l’accordo da 3.5 miliardi di dollari firmato tra l’Egitto e la Russia, che completo’ il piano di riconciliazione con Cairo disposto da Putin. Non a caso, dopo una sua visita a Mosca nel Febbraio 2015, el-Sisi commento’: “Negli scorsi mesi abbiamo dato un valore speciale alla posizione adottata dal Presidente Putin, il quale supporta l’Egitto per questioni relative alla lotta al terrorismo, e che realmente capisce la vera situazione del nostro paese.”[19]

La riconciliazione tra Egitto e Russia mise Obama subito in allerta, in quanto da un lato ostacolava gli sforzi della Casa Bianca di isolare diplomaticamente la Russia (una conseguenza della crisi in Ucraina), e dall’altro garantiva a Putin un sostanziale punto di ingresso nel Vicino Oriente. Data la centralita’ storica dell’Egitto per il Vicino Oriente , il riavvicinamento di Cairo a Mosca comporterebbe per Washington una serie di problemi che non si vedevano dallo storico accordo tra Nasser e l’Unione Sovietica del 1955. Inoltre, da un punto di vista strettamente regionale, l’accordo tra el-Sisi e Putin priva gli Stati Uniti del controllo effettivo sull’equilibrio militare tra paesi Arabi ed Israele, insieme alla sua influenza sulla politica estera dell’Egitto. Infatti, diverse preoccupazioni emersero in relazione agli accordi di Camp David, quando in molti si chiesero se la nuova situazione avrebbe compromesso “la fiducia tra Egitto e Israele, o addirittura Camp David”.[20] Logicamente, cio’ non significava che Camp David sarebbe stato automaticamente abbandonato, ma che la nuova centralita’ di Putin nei processi di pace nel Vicino Oriente  sarebbe fuori discussione. Inoltre, la nuova relazione tra Cairo e Mosca aveva complicato notevolmente gli sforzi della Casa Bianca di mettere una fine al regime di Assad. Infatti, sarebbe erroneo interpretare il nuovo supporto di el-Sisi per il regime di Assad come disconnesso dall’accordo militare tra Egitto e Russia, dal momento che la proposta di el-Sisi di creare un’alleanza regionale che includesse Assad arrivo’ proprio il seguito alla sua visita a Mosca.[21]

Per questi motivi, l’inversione di Obama sulle relazioni con l’Egitto non era inaspettata. Gia’ nel Marzo 2015, il presidente Statunitense dichiaro’ che “i blocchi esecutivi che sono stati in atto dall’Ottobre 2013 sul trasferimento di aerei da guerra F-16, missili Harpoon e carri armati M1A1” sarebbero stati tolti, e che gli Stati Uniti avrebbero continuato a fornire 1.3 miliardi di dollari in assistenza militare all’Egitto.[22] Per chiarezza, andrebbe anche aggiunto che l’offensiva di gruppi terroristici nel Sinai aveva reso ancora piu’ urgente il supporto Statunitense per l’Egitto, in quanto vi era un serio rishio sul Canale di Suez e per Israele. In molti si erano infatti chiesti se il governo Egiziano disponeva di sufficienti risorse per gestire la minaccia da solo.[23] Molte critiche seguirono la decisione di Obama, con svariate testate giornalistiche accusando Obama di “finanziare un dittatore”,[24] e definendo la nuova politica “illegale”.[25] Tuttavia, la nuova politica di Obama era accompagnata da una generale revisione dei programmi Statunitensi di assistenza all’Egitto, in particolare l’interruzione del Cash Flow Financing (CFF), il programma di assistenza militare che permette ai paesi di comprare armi a credito, fissato per il 2018. Infatti, il Congresso aveva iniziato a discutere sul futuro delle relazioni con l’Egitto gia’ nel 2013, quando un numero di Senatori aveva sottolineato l’importanza di adattare la politica Americana in Egitto agli ultimi sviluppi. “Non e’ un modo intelligente di portare avanti le politiche Americane in un paese di una tale importanza dove le circostanze sono cambiate”, aveva commentato il Senatore Democratico Patrick J. Leahy a proposito del CFF, “eppure siamo rimasti in pilota automatico per oltre 25 anni”. Il CFF era in effetti il risultato diretto degli accordi di Camp David, e che aveva suggellato la nuova relazione speciale tra Washington e Cairo e che, come sottolineato da Gerald E. Connolly, membro della Commissione per il Vicino Oriente  e Nord Africa della Camera degli Affari Esteri, aveva definitivamente messo fine all’influenza sovietica in Egitto.[26] Il programma aveva inoltre notevolmente potenziato le difese dell’Egitto: come sottolineato dal Senato, “ Senza il CFF, l’Egitto era in grado di comprare equipaggiamenti per solo 1.5 miliardi di dollari. Durante lo stesso periodo pero’, aveva piazzato ordini per oltre 3.5 miliardi”.[27]

Eppure, il colpo di stato del 3 Luglio e la conseguente dittatura di el-Sisi aveva portato un numero di personalita’ politiche in America a domandarsi se fosse opportuno che la relazione speciale tra Cairo e Washington fosse rimasta incondizionale. Come molti spiegarono, “L’Egitto sta cambiando, e la nostra relazione con l’Egitto sta cambiando… e’ sempre piu volatile, e’ sempre piu fluida. In un paese dove c’e’ cosi’ tanta incertezza, stare in una situazione dove abbiamo le mani legate fiscalmente, sembra una terribile politica.”[28] Infatti, anche se molti criticarono la scelta di Obama di interrompere il CFF, spiegando che sarebbe stato interpretato dall’Egitto come un chiaro segno del malcontento di Washington con le politiche del Cairo, ci possono essere pochi dubbi che la sua manovra era volta a mantenere una relazione strategica con el-Sisi e simultaneamente mandare un chiaro messaggio. D’altronde, Obama aveva gia’ spiegato alle Nazione Unite nel Settembre 2013: “Mohammed Morsi era stato eletto democraticamente, ma era incapace o non disposto a governare in modo che fosse inclusivo… Anche il governo ad interim che lo aveva sostituito aveva preso delle decisioni in contrasto con la democrazia inclusiva – attraverso la legge marziale, e restrizioni di stampa, di diritti civili e di partiti politici.”[29]

Eppure, la situazione in Egitto e’ drammaticamente peggiorata dopo il discorso di Obama del 2013. Nel Maggio 2015, John Kerry firmo’ un memorandum dove spiegava che il cammino verso la democrazia in Egitto “e’ stato negativo”. Liberta’ di base, come quella di stampa, di associazione, e di espressione, sono calpestate, mentre il governo continua “a commettere arbitrarie uccisioni di dimostratori pacifici, di persone in custodia, o durante operazioni militari”.[30] Molte Organizzazioni Non Governative hanno riportato “continue persecuzioni… arresti arbitrari, detenzioni prolungate, sentenze ingiuste dopo processi truccati e spesso anche torture e morti in prigioni”,[31] e numerosi reports prodotti dal Congresso hanno indicato che “violenza e crimine continuano a interrompere la vita quotidiana, e una violenza significativamente superiore a quella dell’era Mubarak e’ esplosa nella Penisola del Sinai”. [32] Infine numerosi media internazionali hanno concluso laconicamente che il livello di aggressioni da parte dello stato e’ senza precendenti.[33] Come commentato dall’attivista Hossam Bahgat: “Il livello di repressioni oggi e’ significativamente maggiore di quello del regime di Mubarak, e le persone delle vecchie generazioni dicono che sia anche peggiore di quello dei periodi piu’ cupi degli anni cinquanta e sessanta.”[34]

Le politiche di Washington rispetto al brutale regime di el-Sisi, incluso il recente omicidio dello studente Italiano Giulio Regeni, sono ancora inevitabilmente legate alla situazione attuale della lotta al terrorismo. Durtante una conferenza stampa con il Ministro degli Esteri Egiziano Sameh Shouky nel Gennaio 2016, John Kerry ha confermato che “In termini di immediati problematiche relative alla sicurezza della regione nella lotta contro Deash [ISIS], l’Egitto ha ricoperto un ruolo chiave, e siamo grati per la loro leadership e partecipazione all’interno dell’International Syria Support Group”, aggiungedo che l’Egitto ricopre un ruolo fondamentale nella coordinazione con “Giordania, con Israele, con gli Stati Uniti rispetto al Sinai, e in particolar modo su Gaza e le tensioni tra Israeliani e Palestinesi.”[35] In cambio, el-Sisi mantiene una politica amichevole con gli Stati Uniti, mantenendo buoni rapporti con Israele, chiamando il mondo Arabo ad unirsi contro il terrorismo, e dichiarando che l’Egitto ha infatti completato la sua transizione democratica.[36] E mentre Obama enfatizza il bisogno che la Russia svolga un “ruolo costruttivo interrompendo i bombardamenti aerei contro le forze moderate di opposizione in Siria”, e’ forse inevitabile che Washington mantenga una certa influenza sull’Egitto e, anche se la Casa Bianca continua a chiedere vera democrazia, considerazioni geostrategiche continuano ad essere fondamentali per le politiche di Obama.

Obama ha presieduto durante un periodo estremamente turbolento della storia del Vicino Oriente . Passando dall’iniziale entusiasmo della Primavera Araba al pericolo scenario presentatosi dopo l’esplosione della guerra in Siria, l’amministrazione Obama ha manifestato tutti i limiti e contraddizioni dell’intervenzionismo Statunitense nel Vicino Oriente , ovvero quella tensione tra idealismo e pragmatismo che storicamente ha afflitto la sua politica estera. Infatti, nonostante abbia professato il suo supporto per la democrazia, Obama non e’ stato capace di mantenere la propria parola, anzi trovandosi letteralmente all’angolo dopo l’intervento Russo in Siria. Tuttavia, e’ difficile immaginare che la “nuova Guerra Fredda”,[37] come definita dal Primo Ministro Russo Dmitry Medvedev, comportera’ un drammatico ritiro Statunitense dal Vicino Oriente, e cosi’ il supporto degli Stati Uniti per il nuovo dittatore Egiziano resistera’ alle pressioni di ideali e morale, nonostante le clausole imposte da Washington. Infine, anche se nella caotica successione di eventi e’ difficile fare previsioni su quale superpotenza emergera’ dal conflitto in Siria, e’ assai piu’ facile capire chi sono i veri perdenti. Come commentato da Bahgat a proposito del governo di el-Sisi: “Questo e’ un regime che le persone hanno supportato anche in cambio dei loro diritti per proteggersi dal terrorismo, eppure il numero di attacchi terroristici oggi e’ il piu’ elevato della storia… Le persone hanno iniziato a realizzare che hanno rinunciato alle loro liberta’, ma non hanno ottenuto in cambio ne’ sicurezza ne’ stabilita’ economica.”[38]

Le persone in Egitto oggi stanno peggio di come stavano con Mubarak. Nonostante il supporto economico dei peasi del Golfo, un impressionante 30 miliardi di dollari, esperti hanno poca fiducia sul futuro. “Lo stato ha un sacco di risorse inutilizzate”, ha commentato Ahmed Al-Khuzaim, “stime mostrano che il 62% delle terre e’ inutilizzato, 20 milioni di lavoratori sono disoccupati, e 27 governorati non producono niente e dipendono dall’assistenza statale.”[39] L’Egitto si classica alla posizione 108 su 188 paesi per il Human Development Index, con oltre in 26% di popolazione sotto la soglia di poverta’, diffuso analfabetismo e disoccupazione e, e un settore pubblico in contrazione.[40] Cosi, mentre si aspetta che la popolazione ecceda i 100 milioni entro il 2030, niente appare piu’ lontano di quello slogan “pane, liberta’ e giustizia sociale” che si leggeva a Tahir Square nel 2011.

Logicamente, nessuno si sarebbe potuto aspettare che la Primavera di Damasco si sarebbe trasformata in una vera e propria guerra internazionale, con il terrorismo Islamico che riunisce tutte le fazioni e la geopolitica che le divide. In aggiunta, mentre l’Unione Europea contina ad essere perennemente divisa su possibili politiche estere, gli Stati Uniti sono progressivamente come un partner inaffidabile: sondaggi rivelano che l’indice di approvazione per Obama in Egitto e’ sceso sotto il 16%.[41] Avvicinandosi alla fine del suo secondo mandato, Obama lascera’ il destino dell’Egitto nelle mani di candidati che supportano el-Sisi. Hilary Clinton ha ammesso che continuera’ a “lavorare con partners coi quali abbiamo profonde divergenze”,[42] mentre Trump scrive un nuovo capitolo di storia americana proclamando la propria ammirazione per personalita’ come Saddam Hussein, Gaddafi e Kim Jong-un.[43] Qualunque sia l’esito dunque, il prossimo governo Statunitense continuera’ a perseguire questa linea politica a prescindere dall’affilizione di partito, tollerando dittarori in nome della sicurezza nazionale, e barattando l’idealismo per la realpolitik.

Nelle sue memorie, Hilary Clinton ha scritto che “non c’e’ ragione di credere che una nuova dittatura militare sara’ piu’ sostenibile di quella di Mubarak”, aggiungendo che la vera sfida in Egitto sara’ quella di “costruire istituzioni realmente democratiche”.[44] Anche se largamente condivisibile, il pensiero della Clinton e’ quantomeno ironico: e’ davvero possibile costruire istituzioni realmente democratiche, se gli stessi elementi non-democratici sono supportati dalle potenze Occidentali? E puo’ la popolazione Egiziana raggiungere tale obbiettivo da sola?

L’onere non dovrebbe ricadere solo sulla popolazione. Le proteste oggi sono diventate estremamente pericolose, e in un clima di paura e continue intimidazioni, e’ irrealistico aspettarsi una seconda (o meglio terza) Primavera Araba. Invece, ci dovrebbe essere un reale cambiamento nell’approccio internazionale al governo el-Sisi, uno che fa di piu’ di sperare per una democrazia inclusiva e tentare soluzioni di ripiego. Quando la Turchia stava negoziando la sua tessera UE, vi erano numerose indicazioni che raggiungere la democrazia nel Vicino Oriente  era possibile. Anche se ora la questione Turchia-Unione Europea e’, forse irrimediabilmente, archiviata, la sola aspettativa aveva dato un incentivo tale che il governo di Ankara aveva attuato numerose riforme, incluso “un ridimensionamento del ruolo del Consiglio di Sicurezza Nazionale”, l’apparato politico-militare Turco.[45] Se l’Occidente dovesse superare questa nuova “Guerra Fredda”, pluralismo politico in Egitto, strutturato all’interno di un contesto internazionale di cooperazione politica e socio-economica, permetterebbe agli Stati Uniti, ed all’Europa come partner in loco, di offrire quell’incentivo necessario per attuare un vero e proprio processo di democratizzazione.

Tuttavia, anche se il governo el-Sisi continuera’ ad attrarre un forte criticismo, sara’ inevitabilmente protetto da accuse da parte della comunita’ internazionale finche’ sia la guerra in Siria, sia l’ISIS, non saranno terminate, ovvero finche’ ci sara’ bisogno dell’alleanza strategica tra Washington e Cairo.

 

L’autore

Antonio Perra è un Associate Lecturer nel Dipartimento di Politica della Birkbeck University of London, e un Visiting Research Fellow nel Dipartimento di Studi Medio Orientali al King’s College London. E’ autore del libro “Kennedy and the Middle East: the Cold War, Israel and Saudi Arabia” che sara’ pubblicato mondialmente da I.B. Tauris nel 2016, e di numerosi articoli di ricerca sulla Primavera Araba, il conflitto Israeliano-Palestinese, e la guerra in Siria.

 

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] “Give Morsi a chance to fix this”, CNN, July 2, 2013, accesso il 10.02.2016, http://edition.cnn.com/2013/07/02/opinion/husain-morsy-chance/index.html

[2] “Morsi’s financial legacy: Black markets and a shameful economic record”, Financial Post, July 9, 2013, accesso il 10.02.2016, http://opinion.financialpost.com/2013/07/09/morsis-financiallegacy-black-markets-and-a-shameful-economic-record/.

[3] “Obama blew it in Egypt – again”.

[4] Q&A on Egypt with Noam Chomsky, Boston MIT, October 2013, accesso il 10.02.2016,

[5] “The armed forces ultimatum and the future of Egypt”, Al Jazeera, July 2, 2013, accesso il

10.02.16, http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2013/07/201372143550404912.html.

[6] Egypt: Security Forces Used Excessive Lethal Forces’, Human Rights Watch, August 19, 2013, accesso il 10.02.2016, http://archive.is/lun2J.

[7] Remarks by the President on the Situation in Egypt, The White House, Office of the Press

Secretary, August 15, 2013, accesso il 10.02.2016, https://www.whitehouse.gov/the-pressoffice/2013/08/15/remarks-president-situation-egypt (accesso il 10.02.2016)

[8] Remarks With Egyptian Foreign Minister Nabil Fahmy, John Kerry, Secretary of State, U.S. State Department, November 3, 2013, accesso il 10.02.2016, http://www.state.gov/secretary/remarks/2013/11/216220.htm.

[9] “Egypt in Crisis: Issues for Congress”, Congressional Research Service, September 12, 2013, accesso il 10.02.2016, http://fpc.state.gov/documents/organization/214921.pdf

[10] “Obama blew it in Egypt – again”

[11] Remarks by President Obama in Address to the United Nations General Assembly, The White House, Office of the Press Secretary, September 24, 2013, accesso il 10.02.2016,

https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2013/09/24/remarks-president-obama-addressunited-nations-general-assembly

[12] “Egypt: Background and U.S. Relations”, Congressional Research Service, January 10, 2014, accesso il 10.02.2016, http://fpc.state.gov/documents/organization/221319.pdf

 

[13] “Abdel Fatah al-Sisi won 96.1% of vote in Egypt presidential election, say officials”, The Guardian, June 3, 2014, accesso il 10.02.2016, http://www.theguardian.com/world/2014/jun/03/abdel-fatah-al-sisi-presidential-election-voteegypt

[14] “Syria’s refugee crisis in numbers”, Amnesty International, September 4, 2015, accesso il 11.02.2016, https://www.amnesty.org/en/latest/news/2015/09/syrias-refugee-crisis-in-numbers/

[15] “What ISIS really wants”, The Atlantic, March 2015 issue, accesso il 11.02.2016, http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2015/03/what-isis-really-wants/384980/.

[16] “Sustaining US Global Leadership: Priorities for 21st Century Defense, January 2012, Department of Defense, accesso il 11.02.2016, http://archive.defense.gov/news/Defense_Strategic_Guidance.pdf

[17] Presidential Policy Directive — United States Conventional Arms Transfer Policy, The White House, January 15, 1014, accesso il 11.02.2016, http://fas.org/irp/offdocs/ppd/ppd-27.html.

[18] “The National Security Strategy”, The White House, Washington, February 2015, accesso il 12.02.2016, https://www.whitehouse.gov/sites/default/files/docs/2015_national_security_strategy.pdf

[19] “Russia’s Putin in Cairo for talks with Egypt’s Sisi”, BBC News, February 10, 2015, accesso il 12.02.2016, http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-31310348.

[20] “Egypt’s Arms Deal with Russia: Potential Strategic Costs”, The Washington Institute, March 4, 2014, accesso il 12.02.2016, http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/egyptsarms-deal-with-russia-potential-strategic-costs.

[21] “Sisi’s attempts to rehabilitate Assad… A different tune to the Gulf”, Middle East Monitor, August 28, 2015, accesso il 12.02.2016, https://www.middleeastmonitor.com/articles/middle-east/20697-sisis-attempts-to-rehabilitate-assad-a-different-tune-to-the-gulf

[22] “Readout of the President’s Call with President al-Sisi of Egypt”, The White House. Office of the Press Secretary, March 31, 2015, accesso il 12.02.2016, https://www.whitehouse.gov/the-pressoffice/2015/03/31/readout-president-s-call-president-al-sisi-egypt

[23] “Egypt: Background and U.S. Relations”, Congressional Research Service, July 24, 2015.

[24] “Obama restores US military aid to Egypt over Islamic State concerns”, The Guardian, March 31, 2015, accesso il 12.02.2016, http://www.theguardian.com/usnews/2015/mar/31/obama-restoresus-

military-aid-to-egypt

[25] “Secret Tapes of the 2003 Egypt coup Plot Pose a Problem for Obama”, TheDailyBeast, May 11, 2015, accesso il 12.02.2016, http://www.thedailybeast.com/articles/2016/02/12/exclusive-u-sallies-now-fighting-cia-backed-rebels.html.

[26] “In Debate over Military Aid to Egypt, Contractual Issues loom large for U.S.” Washington Post, July 25, 2013, accesso il 15.02.2016, https://www.washingtonpost.com/world/national-security/indebate-over-military-aid-to-egypt-contractual-issues-loom-large-for-us/2013/07/25/9d0834c0-f4a5-11e2-aa2e-4088616498b4_story.html “Ending Cash Flow Financing to Egypt: Issues for Congress”, Congressional Research Service, June 4, 2015, accesso il 15.02.2016, https://www.fas.org/sgp/crs/mideast/R44060.pdf

[27] “In Debate over Military Aid to Egypt”

[28] Ibidem.

[29] “Remarks by President Obama in Address to the United Nations General Assembly.”

[30] “Certification Pursuant to Section 7041”, Department of State, Foreign Operations, May 12, 2015, accesso il 15.02.2016, http://graphics8.nytimes.com/packages/pdf/international/2015/egyptwaiver.pdf.

[31] “Egypt’s courageous few fighting for human rights”, Amnesty International, January 22, 2016, accesso il 15.02.2016, https://www.amnesty.org/en/latest/news/2016/01/egypts-courageous-fewfighting-for-human-rights/.

[32] “Egypt: Background and U.S. Relations”, July 24, 2015.

[33] “Worse than Mubarak”, The Economist, May 2, 2015, accesso il 15.02.2016,

http://www.economist.com/news/middle-east-and-africa/21650160-abdel-fattah-al-sisi-hasrestored-order-egypt-great-cost-worse

[34] “State Repression in Egypt worst in decades, says activist”, The Guardian, January 24, 2016, accesso il 15.02.2016, http://www.theguardian.com/world/2016/jan/24/state-repression-egyptworst-weve-ever-seen-activist-hossam-bahgat.

[35] Remarks with Egyptian Foreign Minister Sameh Shoukry, February 9, 2016, accesso il 15.02.2016, http://www.state.gov/secretary/remarks/2016/02/252285.htm

[36] “Sisi: Egypt has completed a democratic transition”, Al Jazeera, February 13, 2016, accesso il 15.02.2016, http://www.aljazeera.com/news/2016/02/sisi-egypt-completed-democratic-transitiondoctors-protest-160213195244238.html.

[37] “Russian PM Medvedev equates relations with West to a ‘new Cold War’”’, CNN News, February 14, 2016, accesso il 15.02.2016, http://edition.cnn.com/2016/02/13/europe/russia-medvedev-newcold-war/.

[38] “State Repression in Egypt worst in decades, says activist”

[39] “Egypt faces major economic crisis”, Middle East Monitor, July 13, 2015, accesso il 15.02.2016, https://www.middleeastmonitor.com/news/africa/19811-egypt-faces-major-economic-crises

[40] “About Egypt”, United Nations Development Programme, accesso il 15.02.2016, http://www.eg.undp.org/content/egypt/en/home/countryinfo.html

[41] “Global Image of US Leadership rebounds”, Gallup, April 10, 2014, accesso il

15.02.2016, http://www.gallup.com/poll/168425/global-image-leadership-rebounds.aspx.

[42] “Republican debate highlights GOP obsession with Egypt’s Sissi”, The Washington Post, August 7, 2015, accesso il 15.02.2016, https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2015/08/07/gop-debate-highlightsrepublicans-obsession-with-egypts-sissi/

[43] “Trump: World would be ‘100%’ better with Hussein, Gadhafi, in power”, CNN News,

October 25, 2015, accesso il 15.02.2016, http://edition.cnn.com/2015/10/25/politics/donald-trumpmoammar-gadhafi-saddam-hussein/.

[44] Hillary Rodham Clinton, Hard Choices: A Memoir, (New York: Simon & Schuster, 2014), p. 325.

[45] Bahar Rumelili, “Turkey: Identity, Foreign Policy, and Socialization in a Post-Enlargement Europe”, Journal of European Integration, 2011, 33:2, 241.

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