La narrazione dell’informazione. Il Caso Mentana


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(Raimondo Schiavone) – Una volta la TV mostrava i fatti ed ai giornali spettava il compito di spiegarli. Oggi, con i giornali in forte tracollo di vendite, con l’ascesa dei social e, in generale, di internet, è la TV che tenta di spiegare la notizia, trasformandola in un evento mediatico. Questo perché la gente vuole storie, preferisce la narrazione ai fatti. Tutto ciò appare al passo con i tempi. Il lettore di oggi si informa mediante il proprio personal computer o, ancora meglio, attraverso i propri dispositivi, quali tablet o cellulari, utilizzando quello che viene trasmesso dai Social che, sempre più frequentemente, consegnano ai fruitori dell’etere informazioni poco pensate, non verificate, spesso urlate. Che spesso hanno la funzione di fare propaganda, più che informare, ed in alcuni casi creare fenomeni e tendenze. Se poi tutto ciò viene sommato ad una Tv urlata, maleducata, piena di trasmissioni di approfondimento che più che essere tali hanno, quale unica funzione, mantenere il pubblico incollato al video nella spasmodica ricerca della fenomenologia del caso e spesso nella morbosità della ricerca di una verità che viene plasmata per enfatizzare la narrazione, allora tutto ciò ha un impatto sociale e culturale enormemente dannoso.

Ovviamente tutto ciò senza generalizzare, perché esiste anche chi l’informazione la fa seriamente, e spesso il suo indice d’ascolto non è eclatante, purtroppo. Ovviamente questa è una fenomenologia indotta dall’evoluzione tecnologica, dalla accelerazione della vita, o meglio dalla frenesia, dalla logica del mordi e fuggi che ormai, anche in campo informativo, è diventata una regola. Prescinde dalla mala fede. Quella dei massimi sistemi globali, dove la manipolazione delle notizie viene artatamente fatta al fine di costruire casi internazionali, conflitti, guerre economiche. Dove si costruiscono vere e proprie narrazioni, teleguidate da Paesi e Lobby influenti economicamente e politicamente, che possiedono Agenzie internazionali, mezzi di comunicazione, energie economiche per sorreggere strutture giornalistiche capillari, Servizi segreti, Centri Culturali, ONG. Sempre più la stampa si pone al servizio dei potenti, dei gruppi di potere delle agenzie di spionaggio o dei grandi gruppi economici.

Uno dei casi più eclatanti degli ultimi decenni è stato quando il 5 febbraio 2003, Colin Powell, allora Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, intervenne al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite parlando di un “grosso faldone dei servizi segreti sulle armi biologiche dell’Iraq” e di laboratori mobili per la produzione di quelle armi, di testimonianze. Powell affermò anche che l’Iraq avrebbe potuto produrre circa 25 mila litri di antrace. Un discorso divenuto famoso per la presenza, sul tavolo davanti a sé, di quella fialetta contenente polvere bianca, agitata poi come la prova regina. La stampa svolse un ruolo importante, anzi determinate in quella vicenda, fece da cassa di risonanza, aiuto la costruzione del “Mostro” e tutto servì per giustificare l’invasione dell’Iraq.

Ma altri due casi possono essere citati. L’assassinio di Mu’ammar Gheddafi per mano francese, per esempio, con la narrazione tesa a costruire il mostro, che in questo caso è stata esemplare. Il leader libico, da alleato e tutore dei flussi migratori, divenne presto il più truce degli assassini, colpevole di massacrare il proprio popolo. Interessi economici e geopolitici indussero la Francia, da sola, a costruire neanche prove fattuali, ma una escalation di notizie e informazioni, con l’ausilio della stampa amica e compiacente, finanziata dalle Monarchie del Golfo, per tentare un cambio di regime in Libia, peraltro mai riuscito e del quale ancora oggi paghiamo le conseguenze.

Ed ancora, in Siria, il tentativo di rovesciamento del Governo Siriano, mai riuscito, presieduto dal Presidente Bashar al-Assad, anche lui acclamato come innovatore, per poi essere derubricato come il peggior assassino del proprio popolo. Informazioni fasulle, dimostrate tali, con tutte le TV ed agenzie del Golfo, quelle Israeliane e Statunitensi, impegnate a costruire le ragioni di un’invasione da parte di mercenari pagati dalle petro-monarchie e dal regime Turco. Con i Media Europei a fare cassa di risonanza, amplificatori di quella narrazione assurda che ha portato a otto anni di guerra e migliaia di morti.

Malafede che però trova terreno fertile anche in casa nostra, nella democratica Italia, dove ormai buona parte dei giornalisti – non tutti, è bene precisare – si sono trasformati in supporter da stadio dell’una o dell’altra parte. Alcuni addirittura in maniera palese. È nota a tutti la posizione, per esempio, da giornalista schierato di Giuliano Ferrara, che non ha mai nascosto la sua posizione di parte. Categoria oggi ben rappresentata da Nicola Porro, Maurizio Belpietro, Massimo Giannini, Andrea Scanzi, Mario Giordano, solo per citarne alcuni. Con posizioni rispettabili, ciascuno portatore di una linea di interesse politico, non certo al servizio della verità della notizia, ma spesso capaci di interpretarla in funzione della narrazione utile alle proprie idee.

Altri sono più subdoli e costituiscono un ostacolo alla correttezza e veridicità dell’informazione. Tra questi, Lilli Gruber, Giovanni Floris ed Enrico Mentana, quello che, forse più di tutti, rappresenta al meglio questa categoria di professionisti dell’informazione. Mentana, colui che raccontava le vicende siriane servendosi di un corrispondente, tale Daniele Raineri, poi coinvolto nella vicenda del rapimento delle due giovani italiane,  Greta e Vanessa, da parte dei cosiddetti “ribelli” siriani, meglio definibili come terroristi mercenari alla ricerca di riscatti. Mentana, colui che alcuni giorni fa si è fatto scappare in diretta, durante il suo TG, la dichiarazione “se l’avessimo saputo, non avremmo mandato in onda quella parte della conferenza stampa”, riferendosi alle parole pronunciate contro i leader di Lega e FdI, dal Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, durante la Conferenza stampa. Affermazione sconcertante, fatta da chi professa autonomia giornalistica, che con trasparenza ammette che avrebbe preferito edulcorare la notizia o avrebbe voluto farla ascoltare agli Italiani in chissà quale maniera. Come se gli italiani non avessero la capacità di fare valutazioni proprie, complete ed esaurienti sulle affermazioni del Premier, ascoltando direttamente le sue parole. “L’ambizione” di Mentana è quella di scegliere lui il modo ed i termini nei quali i cittadini debbano formare la propria opinione sui fatti. Un modo subdolo per manipolare la verità, per mascherarla, tipico di un giornalista che ormai rientra a pieno titolo nella categoria di coloro che esaltano la celebrazione del proprio ego e crede d’essere detentore, non solo della verità assoluta, non solo dell’arrogante facoltà di divulgare o meno una notizia, persino del diritto di poterla costruire.

Di questi giornalisti non abbiamo più bisogno, nel mondo di domani, che speriamo possa essere più riflessivo e ragionevole. Sarà bene, sempre più, prendere le distanze da questo modo di fare informazione. Perché, se è vero che è figlia della prepotenza e dell’autoreferenzialità, è anche vero che spesso si regge all’interno di canali d’informazione che – al pari di quanto scritto sugli eventi internazionali -, strategicamente, svolgono un ruolo determinante nella manipolazione dell’informazione con finalità precise e orientate.

 

 

 

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