Ripulire il Paese dai Fratelli Musulmani. Come già è accaduto in Egitto, anche in Libia l’obiettivo è quello di annullare il peso politico degli islamisti e dichiararli fuori legge. La promessa (o minaccia) arriva direttamente dall’ex generale dell’esercito libico Khalifa Haftar, che ha chiesto alla corte suprema di formare un governo ad interim in vista di nuove elezioni.
In una intervista al giornale arabo Asharq al Awsat, Haftar ha inoltre promesso di “assicurare alla giustizia i deputati islamici del Congresso Generale nazionale i quali saranno processati per crimini contro il popolo libico”. Il generale ha dunque dichiarato guerra ai militanti islamici e ha detto che vuole debellare “il terrorismo” in Libia.
La commissione elettorale libica ha negato di aver fissato per il 25 giugno le elezioni parlamentari, come annunciato dai media, precisando comunque che il voto si terrà la seconda metà di giugno. “La legge non consente alla commissione di fissare una data, noi possiamo solo dare suggerimenti al Congresso Nazionale Generale (il parlamento ad interim)”, ha detto il presidente Imed Al-Sayeh.
A nulla dunque sono valsi i tentativi del governo di trovare un ponte di dialogo con il generale ribelle. La decisione di azzerare il Congresso generale, il Parlamento, non sembra andare nella direzione auspicata da Haftar che vuole debellare una volta per tutte la Fratellanza e gli alleati estremisti dalla scena politica libica. Per Haftar serve un governo nuovo, di emergenza nazionale senza i partiti e le forze estremiste.
Secondo il governo, Haftar sta tentando un colpo di stato e dovrebbe essere arrestato. In Libia però, sottolineano alcuni analisti, il colpo di stato vero c’è già stato e l’hanno messo a segno il 5 maggio proprio i Fratelli Musulmani nominando premier con una maggioranza non qualificata, il candidato Ahmed Miitig.
Scrive il giornalista italiano Gian Micalessin: “Con l’elezione farsa del 5 maggio il Partito della Giustizia e della Costruzione, ala politica dei Fratelli Musulmani, puntava a ribaltare il risultato delle elezioni vinte nel luglio 2012 dall’Alleanza delle Forze Nazionali dell’ex premier Mahmoud Jibril. Un piano scientemente perseguito dai Fratelli Musulmani riusciti con la forza delle armi, del denaro e della convenienza politica, a «comprarsi» i favori di molti dei parlamentari eletti nelle file avversarie. E così dopo le dimissioni a marzo del premier Ali Zeidan e l’abbandono – cinque giorni dopo l’investitura del successore Abdullah al Thani – la Libia era pronta a cadere nelle mani degli islamisti. Non a caso una settimana fa gli Stati Uniti avevano spostato 200 marines dalla Spagna alla base siciliana di Sigonella”.
La Fratellanza musulmana ha accusato il generale di voler emulare al-Sisi al Cairo. “Qui però – ha sottolineato la guida suprema della Confraternita in Libia, Bashir al Kubti – non siamo in Egitto e noi non siamo terroristi. In Libia tutto il popolo è armato. Non esiste casa in cui non ci sia una pistola o un fucile. In strada si trova qualsiasi tipo di arma: stiamo parlando di almeno 25 milioni di armi circolanti nel Paese”.
I Fratelli Musulmani accusano inoltre gli Stati Uniti di essere dietro il “golpe” di Haftar. Washington respinge le accuse e ha fatto sapere di “non aver avuto contatti recenti” con l’ex generale dell’esercito libico che ha guidato una delle rivolte contro Muammar Gheddafi e che dopo la sua diserzione ha vissuto in esilio negli Stati Uniti per circa 30 anni. I suoi nemici sostengono che nella sua vita americana abbia sviluppato stretti legami con la Cia.
La Casa Bianca in ogni caso appoggia le nuove elezioni in Libia, sostenendo che “apriranno la strada a un governo più stabile”. Il governo e il parlamento finora si sono rifiutati di dimettersi, ma alcuni deputati, inclusa una parte dell’esercito e l’ambasciatore dell’Onu in Libia, hanno appoggiato il generale Haftar.
Con il ribelle Haftar c’è oramai la maggioranza delle forze armate e il pugno di ferro usato sia a Bengasi che a Tripoli sembra aver riportato un minimo di ordine nel paese. Negli ultimi mesi la Libia ha dovuto affrontare una lunga crisi politica, dopo che l’esercito e il governo non sono riusciti a imporre la loro autorità sulle milizie ribelli che hanno combattuto contro Gheddafi, e che ora si rifiutano di prendere ordini dal nuovo governo. Dal 17 maggio in Libia gli scontri tra le milizie del generale Haftar e l’esercito regolare hanno causato almeno 100 morti, riferisce la Bbc.