L’irresistibile ascesa di Erdogan è finita


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(Francesco Cerri) – La Turchia si è svegliata quasi sbigottita di avere realizzato l’impensabile: fermare, come scrive l’analista Murat Yetkin, la finora irresistibile ascesa del ‘sultano’ Recep Tayyip Erdogan. Il partito islamico del presidente rimane primo con il 40,9%, e 258 seggi su 550, ma perde la maggioranza in parlamento che aveva dal 2002. Crolla di 9 punti, 71 seggi e 3 milioni di voti rispetto al 2011.

Un «terremoto politico» scrive Hurriyet e un clamoroso ‘schiaffo’ a Erdogan. In teoria presidente super partes ha fatto campagna a tambur battente per il suo Akp chiedendo 330 seggi potersi proclamare superpresidente con pieni poteri. Una scommessa fallita. La prima da 13 anni. È stata la rinvincita anche dei ragazzi di Gezi Park, scesi in piazza a milioni nel 2013 contro la deriva islamica e autoritaria del ‘sultanò, che aveva replicato con pugno di ferro: 8 morti e 800 feriti.

Erdogan è stato sconfitto dalla irresistibile ascesa del ‘Podemos curdo’ di Selahattin Demirtas, un partito libertario e curdo fondato un anno fa che ha sfondato lo sbarramento del 10%, arrivando al 13% e conquistato 80 deputati. «La Turchia ha fatto una rivoluzione democratica» dice il columnist di Hurriyet Yusuf Kanli. I turchi hanno respinto la superpresidenza di Erdogan, una «dittatura islamica» per l’opposizione. Prima del voto Kanli aveva avvertito che era «l’ultima uscita prima della dittatura».

Il ‘sultano’ ha pagato gli scandali di corruzione che lo hanno coinvolto, nonostante l’affossamento della Tangentopoli turca, la museruola a stampa e giustizia, la disastrosa politica siriana e l’appoggio ai gruppi armati jihadisti. «Ha fatto della Turchia uno stato canaglia» tuona il leader dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu. L’Akp ha perso un mare di voti fra i conservatori nel Kurdistan, i giovani, i nazionalisti. Ha pagato la crisi economica che minaccia il paese. Il Chp di Kilcdaroglu è salito al 25% (132 seggi), il Mhp di Devlet Bahceli al 16,3% (80), l’Hdp è esploso al 13% e invade il parlamento con una ‘tribu« di 80 deputati, curdi, cristiani, yazidi, rom, una folla di donne.

La stampa di opposizione saluta una vittoria della democrazia sull’ autoritarismo: per Taraf i turchi hanno impedito a Erdogan di istituire una »dittatura«, per Zaman gli «hanno detto Basta!». La partita del governo si annuncia serrata. Erdogan, dopo avere giocato le elezioni per l’Akp, ora in teoria ridiventa arbitro. Oggi ha rilevato che nessun partito è in grado di formare il governo da solo, ha chiamato i leader al senso delle responsabilità. La situazione è incerta e i mercati hanno reagito con un tonfo di lira e Borsa (-5%).

Erdogan ora incaricherà un leader Akp – primi arrivati – di tentare di formare un governo. Il solo partner di coalizione possibile pare il Mhp. Ma tutta l’opposizione prima del voto ha escluso patti con l’Akp. Ma certo in politica tutto è possibile. Se fallisse, e non fosse praticabile un governo minoritario Akp, il sultano dovrebbe incaricare il secondo arrivato, Kilicdaroglu. Il capo del Chp dovrebbe tentare una spinosa trattativa con Mhp e Hdp, visceralmente opposti sul processo di pace in Kurdistan.

Ma l’opportunità di togliere il potere al partito islamico, e cosi al ‘sultano’, anche prima di possibili elezioni anticipate che Erdogan potrebbe convocare entro un anno, potrebbe spingere i tre partiti a un accordo tecnico. Il Chp lo ritiene possibile. Se entro 45 giorni dalla proclamazione ufficiale dei risultati, per metà luglio, non ci sarà un governo il ritorno alle urne sarà inevitabile. Il primo test per l’opposizione sarà se riuscirà a eleggere entro fine giugno il nuovo presidente del parlamento.

 

Francesco Cerri è corrispondente dell’Ansa

 

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