Militarizzazione dell’Europa: quali effetti sulla guerra in Ucraina?


0 Condivisioni

(Bruno Scapini) – Da più parti ormai si sente sempre più parlare di un possibile ingresso della NATO nel teatro di guerra dell’Ucraina. E lo si fa con una certa disinvolta quanto inaspettata spregiudicatezza, come a voler banalizzare un evento che invece sarebbe estremamente pericoloso per il suo portato conseguenziale. Non si tratta, infatti, di rompere un semplice tabù, bensì di spingere, attraverso una progressiva “escalation”, un conflitto che ormai dura da più di due anni verso un punto di “non ritorno”, superato il quale non ci sarà altro da attendere se non l’avvento dell’Apocalisse.

“Solo una parola ci separa dalla guerra nucleare” avrebbe recentemente dichiarato il Ministro degli Esteri russo, Lavrov. E ipotizzarla non sarebbe tanto un mero “slogan” con cui dare effetto ad una trovata politica, ma piuttosto, se ben guardiamo alla sequenza degli eventi, un possibile quanto concreto esito del corso politico ora intrapreso dall’Occidente.

Mai come in questo momento, infatti, dalla fine della II Guerra Mondiale, l’Umanità si è trovata davanti ad una scelta cruciale: o indurre le due superpotenze a confronto, Stati Uniti e Federazione Russa (perché di loro in fondo si tratta in una estrema semplificazione del quadro bellico), a fare entrambi un passo indietro  per scongiurare il peggio, o continuare lungo la attuale strada del confronto indiretto tra Occidente e Mosca nella consapevolezza che piccoli, anche insignificanti ma decisivi, passi di intransigenza ci porteranno all’Apocalisse. Le Grandi Guerre non scoppiano all’improvviso. La Storia ce lo insegna. All’improvviso ci accorgiamo dello scoppio, ma quel momento è sempre preceduto da una teoria di fatti, di dichiarazioni, di piccoli se non futili episodi che, presi singolarmente danno l’impressione di una mera casualità, ma che in realtà nascondono un sottile comune filo conduttore che non tutti percepiscono.

Non c’è dubbio: la crisi ucraina è oggi in piena fase di acutizzazione e la retorica bellicista occidentale appare vieppiù veemente e determinata. Vediamo un Biden, da un lato, che proclama alle “primarie” di non volersi assolutamente ritirare dall’Ucraina, mentre, dall’altro, in Europa si dispongono nuove forniture di armi a Kiev (missili, carri armati Leopard e Abrams) annunciando perfino un possibile quanto necessario ingresso della NATO in una guerra diretta contro la Russia.  A fare da sfondo a questa fosca ed oscura prospettiva – degna di mortificare peraltro ogni tentativo di redenzione da parte dei belligeranti – si aggiungono le dichiarazioni di fonti autorevoli dell’Alleanza Atlantica ( v. il Comitato Militare NATO ed esponenti delle Forze Armate di diversi Paesi membri come il Capo di Stato Maggiore britannico Patrick Sanders, il Generale austriaco Peter von Hofer e l’Ammiraglio olandese Rob Bauer) secondo le quali una guerra singolarizzata contro la Russia sarà inevitabile entro il 2050 con conseguente necessità di preparare ad essa le nuove generazioni e mobilitare le popolazioni in vista di adottare politiche di “resilienza” atte a fronteggiare un tale evento.

Ma questi paladini della guerra, propugnatori indefessi di un prolungamento del conflitto praticamente “ad libitum”, ovvero fino alla completa reintegrazione dei diritti di sovranità territoriale dell’Ucraina, non si rendono conto di parlare unicamente per bocca propria e per i propri nefandi interessi e non in nome di una Comunità internazionale volta piuttosto ad esaltare i valori della pace e della solidarietà? Del resto, proprio i recenti entusiasmanti esiti del XX Festival Mondiale della Gioventù svoltosi a Sochi in Russia hanno offerto ampia testimonianza di tale diverso modo di percepire il futuro.  I giovani di Sochi, infatti, ci hanno dimostrato che la visione di un mondo belligerante e votato al conseguimento degli interessi dei soliti ristretti gruppi di potere, è ormai al tramonto, e che andrebbe invece sostenuta la prevalente prospettiva di un mondo multipolare, l’unico in grado di garantire il giusto spazio a tutte le umane comunità.

Purtroppo, la deprecabile retorica bellicista oggi perseguita dal mondo occidentale non potrà che promuovere ed esaltare la folle corsa al riarmo che da più parti si invoca. È tutta l’Europa che, sospinta da un’America intenzionata a fare di essa la prima frontiera di contenimento avverso una ipotetica aggressione russa, si sta pericolosamente orientando verso una conversione di larghi comparti dell’industria civile in industria bellica. Fatto prodromico a una tale sviluppo per l’Italia è, tra l’altro, la recente iniziativa del Governo di modificare la Legge 185/90 tesa a liberalizzare il regime di esportazione di armamenti.

L’obiettivo sarà, pertanto, per i Paesi europei, l’instaurazione di una vera e propria “economia di guerra”, ovvero una condizione di mercato che incentiverà lo sviluppo del complesso “industrial-militare” portando ad un pericoloso avvitamento non solo la crisi ucraina, ma anche le tante altre guerre sparse per il mondo che stentano a trovare una valida via di conciliazione.

Ma la nota più dissonante di questo corso politico è proprio la prospettata militarizzazione dell’Europa. Un traguardo da raggiungersi – stando alle dichiarazioni della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – attraverso la realizzazione di una Comunità Politica Europea dotata di un proprio esercito e unità armate. Una sorta di braccio subappaltato della NATO, potremmo definirlo, utile a sostituirla là ove Washington ritenesse il suo intervento più utile o opportuno. Ma è proprio questo il punto focale di una possibile svolta al peggio della guerra in Ucraina. Se, infatti, in un ipotetico dialogo conciliativo, la condizione di escludere l’Ucraina dalla NATO avrebbe potuto servire da utile merce di scambio, da far valere in un quadro di economia negoziale, onde ottenere la sua adesione all’Unione Europea, la prospettiva di una militarizzazione dell’Europa, per quanto mascherata da una Comunità Politica dai contorni istituzionali non ancora definiti, si porrebbe drammaticamente come un ostacolo. Il rischio che l’Ucraina, una volta divenuta membro dell’U.E. possa in qualche modo integrarsi in una organizzazione militare di matrice europea – e comunque legata alla NATO sulla base di condizionalità oggi non ancora prevedibili – potrà verosimilmente indurre la Russia ad estremizzare la propria condotta della guerra alzando la posta in gioco e spingendo il corso degli eventi verso soluzioni certamente più radicali suscettibili di allontanare per loro natura il tempo della pace.

C’è un aspetto della vicenda bellica ucraina che deve essere comunque ben chiaro all’Occidente: se per Washington si tratta di giocarsi la partita in modo da non perdere la faccia, ma rischiando sulla pelle degli europei, per Mosca è invece in gioco la propria sicurezza nazionale. Gli Stati Uniti pericolosamente muovono le proprie pedine lungo i confini della Russia; e lo fanno ben sapendo che il superamento della linea di “non ritorno” potrebbe innescare un meccanismo bellico irreversibile il cui prezzo sarebbero proprio i Paesi europei a pagare quale “prima linea di difesa”!

 

0 Condivisioni