Stato Ebraico. Così la “razza pura” ghettizzerà il popolo palestinese


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(Anna Maria Brancato) – L’idea della creazione di uno Stato esclusivamente ebraico non è affatto nuova e riporta agli albori del movimento sionista di fine ‘800. Quando nei giorni scorsi il Premier Netanyahu ha dichiarato alla Knesset  che “Israele è lo stato ebraico, (patria) nazionale per il popolo ebraico con eguali diritti per tutti i cittadini ebrei”, sembrava di rileggere le parole della dichiarazione di Balfour del 1917 “His Majesty’s Government view with favour the establishment in Palestine of a National home for the Jewish people”.

Il cosiddetto Jewish National State Bill, o proposta di legge per uno stato ebraico, è stato presentato da tre esponenti della destra sionista e approvato grazie ai 14 voti dei tre partiti nazionalisti e sionisti di destra (Likud, Israel Beitenu e Casa ebraica), mentre hanno votato contro i rappresentanti dei partiti centristi Yesh Atid, HaTnuah del Ministro della Giustizia Tzipi Livni e il Ministro dello Sport Limor Livnat.

La proposta di legge, che ancora non presenta una forma definitiva, è una misura chiaramente discriminatoria nei confronti della minoranza non ebraica della popolazione che attualmente vive in Israele e non trova ampio consenso né all’interno delle opposizioni di centro sinistra né tanto meno in molti strati dell’opinione pubblica che ancora fatica a comprendere cosa significhi realmente per Israele essere “Stato Ebraico”.

La legge nelle sue linee generali prevede l’abolizione dell’arabo come lingua ufficiale, il consolidamento delle pratiche di demolizione e distruzione delle abitazioni dei palestinesi ma, soprattutto, allontanerà ulteriormente il “processo di pace” dal trovare una soluzione all’annosa questione diritto del ritorno, nodo fondamentale dell’intera controversia israelo-palestinese.

La proposta, inoltre, include la possibilità di revoca dei diritti di residenza per i palestinesi residenti a Gerusalemme o per  i loro parenti qualora prendessero parte ad azioni di violenza o alle proteste.

Secondo alcuni, l’ulteriore etnicizzazione dello stato d’Israele avrebbe ripercussioni anche sull’operato di giudici e legislatori i quali sarebbero incoraggiati ad ispirarsi a valori più propriamente ebraici e religiosi, tralasciandone invece gli aspetti democratici e liberali.

L’identificazione dello Stato con il suo carattere religioso-culturale andrebbe, infatti, ad inficiare le libertà e i diritti non solo degli arabi palestinesi (siano essi cristiani o musulmani) presenti nel territorio, ma anche degli emigrati provenienti dall’Europa dell’Est o dall’Africa.

L’approvazione di questa proposta di legge della destra sionista, come affermato anche dal quotidiano israeliano Haaretz, segna sicuramente la nascita di uno stato ebraico decretando la morte di quello democratico. Ma soprattutto sancisce l’appartenenza di Israele agli ebrei di tutto il mondo piuttosto che ai suoi cittadini, compresi gli oltre quattro milioni di profughi palestinesi che stanno fuori dai confini della Palestina dal 1948.

Una mossa del genere da parte del governo israeliano va sicuramente nella direzione di una spinta per il riconoscimento della soluzione “due popoli due stati”, come affermato dallo stesso Premier (“Non capisco chi difende la soluzione dei due Stati per i due popoli  e allo stesso tempo non accetta questa legge. Riconoscono lo Stato nazionale palestinese, ma si oppongono ad uno Stato nazionale ebraico”) e mira a porsi come risposta alle decisioni recentemente prese dai parlamenti di Svezia, Regno Unito e Spagna di riconoscere l’esistenza di uno Stato palestinese.

Allo stato attuale delle cose, però, non è semplice fare un’analisi puntuale delle conseguenze che decisioni come quelle dei tre paesi europei possono avere sull’evolversi della questione. Bisognerebbe tenere conto di uno stato con due territori (Gaza e Cisgiordania) separati e, di fatto, non comunicanti, con delle problematiche sociali ed economiche del tutto differenti e, soprattutto, con leadership politiche divise che difficilmente rinuncerebbero al proprio posto. Bisognerebbe, inoltre, considerare che i profughi palestinesi del’48 e del ’67 dovranno avere il diritto di tornare alle proprie case (come peraltro sancito dalla risoluzione 194 dell’ONU, art. 11) interno di uno stato  che davvero ne possa garantire diritti e protezione. E questo Stato dovrebbe essere Gaza, la Cisgiordania o entrambi? E su che tipo di economia e di risorse questo nuovo Stato potrebbe contare?

In questo senso, il riconoscimento europeo di uno Stato palestinese può trasformarsi in un pericoloso appoggio al disegno sionista di ghettizzazione e isolamento della popolazione palestinese accanto all’emergere di uno Stato prettamente ebraico a confini chiusi e ossessionato dalla purezza della sua etnicità.

 

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