La storia. Israele – Gaza e i fantomatici accordi di pace


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(Anna Maria Brancato) – E’ diventato quasi impossibile tenere il passo con la cronaca e riportare gli eventi che si stanno consumando a Gaza, perché già nel momento in cui si scrive, qualche altra operazione ha lasciato dietro di sé decine di vittime e il silenzio di tutti.

Quindi, penso che ormai non sia più il caso di riportare l’ordine dei fatti, cosa per la quale dovremmo ringraziare giornalisti del calibro di Michele Giorgio che ci tiene aggiornati con i suoi report e i suoi aggiornamenti di stato, ma sia il caso di lasciare spazio alla riflessione e a una maggiore investigazione storica delle cause e degli eventi passati, altrimenti si rischia di prendere posizioni di mera facciata.

Prendiamo spunto, innanzitutto, da un video postato sul sito “The Times of Israel” girato da alcuni riservisti israeliani che attendono di entrare a Gaza mentre intonano una canzoncina decisamente satirica (come spiega chiaramente anche l’articolo del “Times” che esorta il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu a cacciare “all the Ahmed Tibis”, in riferimento ad Ahmed Tibi, un politico arabo-israeliano membro della Knesset (il parlamento israeliano).

E continua facendo appello a un prossimo ritorno a Gush Katif, un insediamento israeliano nel sud della Striscia di Gaza fatto evacuare nel 2005 nell’ambito del Piano di disimpegno unilaterale israeliano.

Ma cosa è il Piano di disimpegno unilaterale israeliano? E’ stato il frutto di una stretta collaborazione politica e militare tra USA e Israele, esattamente fra l’allora Primo Ministro israeliano Sharon e il Presidente americano G. Bush.

In un primo scambio di lettere fra i due, il Primo Ministro scrive: “As you have stated, a Palestinian state will never be created by terror, and Palestinians must engage in a sustained fight against the terrorists and dismantle their infrastructure. Moreover, there must be serious efforts to institute true reform and real democracy and liberty, including new leaders not compromised by terror”.

Sharon, nella sua lettera, fa pertanto riferimento a terroristi che avrebbero potuto essere nuovi leader palestinesi…

Mi piacerebbe poter ricordare al Primo Ministro che il governo israeliano ha sempre accolto i peggiori assassini della storia, provenendo praticamente tutti dai ranghi dell’esercito e che lui stesso è stato accusato di avere responsabilità concernenti il massacro di Sabra e Shatila.

La lettera continua:

(…) there exists no Palestinian partner with whom to advance peacefully toward a settlement and since the current impasse is unhelpful to the achievement of our shared goals, I have decided to initiate a process of gradual disengagement with the hope of reducing friction between Israelis and Palestinians. The Disengagement plan is designed to improve security for Israel and stabilize our political and economic situation. (..) According to this plan, the State of Israel intends to relocate military installations and all Israeli villages and towns in the Gaza Strip, as well as other military installations and a small number of villages in Samaria (…) In this context, we also plan to accelerate construction of the security fence, whose completion is essential in order to ensure the security of the citizens of Israel. The fence is a security rather than political barrier, temporary rather than permanent, and therefore will not prejudice any final status issues including final borders. The route of the fence, as approved by our government’s decisions, will take into account, consistent with security needs, its impact on Palestinians not engaged in terrorist activities.”

Come è stato più volte supposto in altre sedi, e questo scambio epistolare pare confermarlo, il disimpegno israeliano da Gaza prevedeva un massiccio ridispiegamento di insediamenti e forze militari in Cisgiordania, nonché la costruzione del muro dell’apartheid, “una barriera di sicurezza, piuttosto che una barriera politica, temporanea e non permanente” la quale “traiettoria (del muro) prenderà in considerazione, coerentemente con esigenze di sicurezza, il suo impatto sui palestinesi non impegnati in attività di terrorismo”.

La risposta di Bush si rivela ancora più sconcertante ed è evidente l’inconsistenza del termine “terrorismo”.

Il termine, infatti, viene generalizzato e viene talmente tanto identificato senza sfumature col popolo palestinese che, personalmente, mi chiedo come si possa non considerare “terroristica” la costruzione di un muro di separazione lungo circa 700km, il cui tracciato è stato studiato per segregare le comunità palestinesi e impedire loro il raggiungimento di materie prime e delle risorse, prima fra tutte l’acqua.

“We welcome the disengagement plan you have prepared, under which Israel would withdraw certain military installations and all settlements from Gaza, and withdrawcertain military installations and settlements in the West Bank. These steps descrive in the plan will mark real progress toward realizing my 24 June 2002 vision, and make areal contribution toward peace” scrive Bush e prosegue “The United States understands that after Israel withdraws from Gaza and/or parts of the West Bank, and pending agreements on other arrangements, existing arrangements regarding control of airspace, territorial waters, and land passages of the West Bank and Gaza will continue. The United States is strongly committed to Israel’s security and well-being as a Jewish state”.

Come si nota bene, le parole utilizzate da entrambe le parti descrivono situazioni ancora oggi attuali se si parla di questione palestinese. Il motivo è uno: i fantomatici accordi di pace, le varie tregue, o i pseudo dialoghi, in realtà sono portati avanti per una questione di pura immagine dallo Stato Israeliano con il benestare americano, senza mai però interpellare l’altra parte in causa, quella palestinese, che almeno sulla carta godrebbe dell’appoggio del diritto e della comunità internazionale.

È la stessa cosa che è avvenuta in questi giorni: Hamas non ha accettato i termini di un cessate il fuoco semplicemente perché non era al corrente di accordi simili, come dichiarato anche da un portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum.

L’esclusione della parte palestinese dai tavoli delle trattative rientra in quel quadro più ampio dell’intero disegno sionista che dal 1948 mira a escludere e a negare la presenza dei palestinesi nella propria terra.

Rimando ala lettura di questo .pdf per un’analisi più approfondita del Piano di disimpegno unilaterale e concludo con le parole di Bush a Sharon:

“Mr. Prime Minister, you have described a bold and historic initiative that can make an important contribution to peace”

Mr. Bush… ti sei sbagliato, di nuovo.

 

Anna Maria Brancato (1986). Laureata in Governance e Sistema Globale all’Università di Cagliari, con una tesi sulla condizione dei profughi palestinesi in Libano e, in particolare, nel campo profughi di Shatila, a Beirut, dove ha soggiornato per svolgere le sue ricerche.

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