La storia. Nel compound di Lusaka, dove la vita è dura e magica


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(Valeria Vacca) – Esteticamente un compound assomiglia a quell’idea di Africa che i mass media hanno coltivato nell’immaginario comune nel corso degli anni. Le strade non asfaltate, i rifiuti sul ciglio della strada, il fango, le case costruite con mattoni di terra e tetti di lamiera o eternit, le strade animate dai bambini che spingono le carriole per portare le taniche di acqua, le donne che camminano sui cigli della strada con il loro business trasportato sulla testa.

Forse è stato per questo che non mi sono resa conto, nei primi giorni, dove mi trovassi.

Mi hanno aiutato a capirlo le persone che vivevano nei quartieri vicino a Bauleni, il compound alla periferia di Lusaka, dove ho vissuto per tre mesi.

Sono state quindi le domande degli zambiani a farmi percepire e realizzare le differenze tra i vari quartieri: “Perché vivi a Bauleni?”, “Ma la tua casa com’è? Hai il bagno? E come fai con l’acqua?”. Strane curiosità per me, davo per scontato che avessero già le risposte. Quartieri vicini tra loro ma così distanti.

Nella casa in cui ho vissuto, il bagno era all’esterno e in condivisione, come in tutte le abitazioni del compound. Sono stata fortunata perché il mio veniva utilizzato unicamente dalla famiglia proprietaria. Il fatto che fosse numerosa rendeva poi la cosa relativa.

Anche per l’utilizzo dell’acqua posso dire di essere stata fortunata. Nel giardino dove abitavo c’era una pompa da cui potevano accedere all’acqua anche tutti i vicini. Altri abitanti sono decisamente più sfortunati, devono percorrere chilometri e chilometri per poter raggiungere una fonte d’acqua. Non solo ho dovuto imparare a gestirmi e organizzarmi l’acqua ma, soprattutto, a guadagnarmela: mi hanno insegnato a svegliarmi la notte per prenderla in modo da avere più probabilità di trovarla ed evitare le lunghe file.

L’acqua, infatti, non c’era tutti i giorni e questo faceva si che la fila delle persone fosse lunga e pazientemente organizzata da secchi e bidoni posizionati accanto al rubinetto, spesso per interi giorni. La disponibilità dell’acqua non è l’unico aspetto che ho dovuto imparare a gestire e organizzare.

A Bauleni l’elettricità viene negata alla popolazione per via di una pratica di risparmio statale (“load shedding”)che consente di vendere l’energia ai paesi confinanti. In teoria, i giorni in cui l’elettricità non viene erogata sono fissi (tre volte la settimana, nelle ore serali), in pratica manca per intere mattinate.

Per me ha significato imparare a gestire la batteria del mio computer per il lavoro, il telefono per le comunicazioni e altresì l’organizzazione nella preparazione dei pasti, dato che i fornelli non sono a gas ma elettrici. Per gli abitanti del compound come carpentieri, falegnami, uffici, copisterie, non avere l’elettricità significa non lavorare e bloccare la loro attività.

Vivere nel compound ha voluto dire apprendimento, adattamento, sacrificio, fatica fisica e mentale. Ma vivere il compound ha significato tante altre cose.

Ascoltare i silenzi nei soli momenti in cui l’elettricità mancava; sentire costantemente la musica, i rumori, i brusii e i canti; ammirare la bellezza delle strade polverose, quella dei bambini e delle donne, le cui forme, di cui vanno così fiere e che vengono raccontate nei cartelloni pubblicitari di Lusaka, dovrebbero far rivalutare i canoni di bellezza occidentali; scoprire il modo di vivere degli abitanti di Bauleni e assaporare la loro cultura.

Mi sono sforzata di capire certi aspetti della vita che sono molto diversi dalla mia vita italiana, dove tutto è scontato, compresi gli sprechi legati al benessere e al consumismo. Nel compound ho capito il profondo significato della parola rispetto. Per questo ho scelto di condividere una quotidianità fatta di difficoltà, bellezza e magia. Perché questa è la mia Africa. Il mio Zambia.

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