Tunisia, tra stato di emergenza e lotta al terrorismo


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La presidenza della Repubblica tunisina ha prorogato per altri tre mesi lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, dal 19 ottobre fino al 18 gennaio. La decisione, rinnovata dal presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, era stata presa in seguito agli attentati del 2015.  L’anno scorso la Tunisia è stata colpita da tre gravi attentati terroristici rivendicati dallo Stato islamico. Il primo è avvenuto il 18 marzo dello scorso anno al Museo del Bardo di Tunisi ed è costato la vita a 24 persone (tra cui quattro turisti italiani). Il secondo si è tenuto il 26 giugno scorso sulla spiaggia di Sousse con 38 turisti stranieri, di cui 30 di nazionalità britannica. Il terzo è avvenuto il 24 novembre del 2015 contro un bus della guardia di sicurezza presidenziale, in cui sono morte 12 persone.

Il provvedimento permette alle autorità di vietare scioperi e incontri “che possano causare o mantenere il disordine”, di chiudere temporaneamente “teatri e pub” e di “adottare tutte le misure necessarie per garantire il controllo della stampa e di qualsiasi tipo di pubblicazione”. Lo stato di emergenza è in vigore ininterrottamente dal 4 luglio del 2015, dopo l’attacco terroristico di Susa (Sousse).

Nel frattempo, sul fronte del contrasto al terrorismo, proseguono senza sosta le operazioni condotte dalle forze dell’ordine tunisine.  A Gafsa, nel sud del Paese, sono stati arrestati quattro estremisti islamici di età compresa tra i 27 e i 30 anni con contatti con i jihadisti in Siria, Yemen e Iraq.

A Cité Ettadhamen, è stato arrestato un uomo, già condannato a 10 anni di reclusione per la sua appartenenza ad una organizzazione terroristica all’estero, che avrebbe utilizzato il passaporto di suo fratello per recarsi in Libia e Siria e unirsi alle fila dell’Isis. In un’altra operazione, la polizia di Manouba, non lontano dalla capitale, ha smantellato una cellula terroristica operante a Douar Hicher e composta da 4 membri con l’accusa di appartenere ad una organizzazione terroristica.  Durante gli interrogatori i quattro hanno confessato di aver pianificato attentati nei confronti di polizia e militari dichiarandosi militanti dell’organizzazione terroristica Ansar al Sharia. Gli accusati utilizzavano falsi profili su Facebook per diffondere la loro propaganda ed eludere così la sorveglianza della polizia. La Tunisia è il Paese che ha esportato il maggior numero di foreign fighters verso i territori di combattimento del Jihad, in particolare la Siria.

Nei giorni scorsi, la Guardia nazionale tunisina aveva arrestato a Kairouane 5 persone accusate di essere collegate a un cellula terroristica implicata nella strage del resort di Sousse.  La Gran Bretagna ha annunciato di aver inviato 40 militari in Tunisia per addestrare l’esercito del Paese alle prese con le milizie affiliate a Daesh al confine con la Libia.

Secondo il segretario generale della Nato Stoltenberg, la Tunisia è un paese “stabile”, ma che ha sofferto attacchi terroristici e ora è sotto pressione. Pur essendo un esempio riuscito di transizione democratica dopo la stagione delle rivolte arabe, la Tunisia è anche primo fornitore di foreign fighter per le formazioni jihadiste, oltre ad essere limitrofo della Libia, paese di transito per le rotte dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo centrale.

La Nato, recentemente, ha annunciato il rafforzamento della cooperazione con la Tunisia nel settore dell’intelligence attraverso la creazione di un nuovo centro: un Intelligence Fusion Centre volto a facilitare la raccolta dei dati, la condivisione delle informazioni, la ‘fusione’ tra le intelligence dei paesi alleati in operazioni congiunte e a rafforzare la capacity building delle forze speciali locali. L’unica altra struttura di questo tipo si trova a Milton Keynes, nel Regno Unito.

Questo centro si aggiungerà a quello che opera dal 2014 all’interno delle strutture del ministero della Difesa tunisino, creato con fondi e strutture locali, al quale la Nato fornisce la sua esperienza nell’ambito della cooperazione militare bilaterale e multilaterale. La Nato offre formazione ad un certo numero di militari tunisini per la raccolta e l’analisi dei servizi di intelligence e di lotta al terrorismo. Dal luglio 2015 la Tunisia è alleato maggiore (non membro) della Nato.

Intanto, fanno discutere le dichiarazioni di Rached Ghannouchi, leader del partito islamico tunisino Ennhadha,  secondo il quale i terroristi di Daesh sono degli estremisti ma non dei miscredenti. L’esponente politica ha affermato che non è possibile mettere in dubbio la fede degli appartenenti all’Isis perché essi affermano che non c’è altro Dio al di fuori di Allah: “Gli appartenenti a Daesh – ha affermato – vivono una situazione di collera e tensione. Non li scuso ma la loro realtà rappresenta un’immagine dell’Islam in collera che devia dalla ragione e dalla saggezza. Noi musulmani sunniti possiamo dire che essi sono dalla parte sbagliata, estremisti, radicali, dispotici, ma non koffar (miscredenti)”.

Ghannouchi durante l’ultimo congresso di Ennhadha ha dichiarato che il suo partito deve separare in modo netto la predicazione religiosa dall’attività politica.

 

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