Un nuovo Risorgimento europeo: lotta all’eurocrazia nemica della sovranità alimentare


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(BRUNO SCAPINI) – L’Europa è in fiamme! Il recente abbattimento per mano degli agricoltori della statua eretta in onore dell’industriale John Cockerill in Place du Luxembourg a Bruxelles è il simbolo di un risorto Risorgimento europeo.  Non c’è dubbio. L’immagine della tragica fine del monumento non può non richiamare alla nostra memoria quei moti rivoluzionari dell’inizio del XIX secolo che, nati sull’onda delle prime rivendicazioni di matrice sociale, chiedevano ai sovrani del tempo la concessione di diritti costituzionali in nome di un vento di libertà quanto mai necessario per l’emancipazione dei popoli europei.

Ebbene, a distanza di quasi due secoli da quei primi moti la situazione dello “stato di diritto” in Europa, alla luce delle vaste proteste inscenate dagli agricoltori in Germania, in Francia, in Olanda, in Belgio e in Italia, non sembra essere mutata nella sostanza. Oggi, come allora, ancora si reclama; e come allora sono le classi meno abbienti a soffrire per un regime loro imposto a tutto vantaggio degli interessi del potere. Ieri, ad essere sotto accusa erano le monarchie che in nome di un “ancien regime” duro a morire esercitavano i poteri in maniera pressoché assoluta, oggi  è l’Unione Europea!  La splendida creatura voluta per restituire pace e stabilità ad un’Europa lacerata dalla peggiore guerra mai combattuta dagli esseri umani, ma divenuta, in virtù di un anodino conferimento di sovranità dagli Stati membri agli organi di Bruxelles, quel mostro di burocrazia che pretende di governare i popoli d’Europa in nome di una quanto mai inesistente rappresentanza democratica.  Gli agricoltori, i lavoratori del tanto bistrattato “comparto agricolo”, sono i primi a scendere massivamente nelle piazze. Lo strapotere delle multinazionali dell’”agribusiness” viene messo oggi sotto accusa, mentre Bruxelles, prestandosi al loro gioco distruttivo, intende proporci un mondo nuovo in cui l’autonomia alimentare dei popoli altro non sia se non una mera scelta opzionale. Ovvero, una scelta da soppiantare in nome di un globalismo agricolo ossequioso alle politiche climatiche e ipocritamente rispettoso dell’esigenza di sfamare una popolazione mondiale tendenzialmente in crescita.

Così si spiegano le misure adottate da Bruxelles con la nuova PAC (la Politica Agricola Comune).  In pieno disprezzo della sopravvivenza di interi comparti del settore primario e delle storiche peculiarità economiche degli Stati membri, l’UE, ebra del potere ad essa conferito da potentati sovranazionali, impone le sue regole: sussidi in cambio dell’abbandono delle terre coltivabili, esproprio di terreni da adibire a parchi eolici e a pannelli solari, commerciabilità di farine di insetti, carni sintetiche prodotte in laboratorio, limitazioni all’uso di pesticidi (salvo quelli proposti dalle multinazionali), regimi fiscali iniqui e drastica riduzione dei già modesti ricavi degli agricoltori. Problematiche, queste, che assumono ovviamente sfaccettature diverse da Paese a Paese, ma che rimangono in fondo invariate quanto al loro esito finale: mettere in gioco la sopravvivenza degli agricoltori europei per indurli all’abbandono delle terre e costringere i Governi ad importare dall’estero le derrate sconfessate. Il tutto con l’obiettivo di lasciare il campo aperto all’ulteriore avanzata delle multinazionali inclini a perseguire il nefando obiettivo dell’accaparramento delle migliori terre coltivabili del Pianeta (il c.d. fenomeno del “land and water grabbing”). Saranno questi giganti dell’”agribusiness” infatti – dovesse continuare in futuro l’attuale trend – a gestire l’agricoltura a livello mondiale. La graduale e incessante corsa delle grandi aziende alla fusione in poche potenti “corporate” condurrà verosimilmente nei prossimi anni alla eliminazione dal mercato delle PMI agricole in favore di gruppi oligopolistici già oggi in posizioni dominanti per la produzione delle sementi e dei pesticidi. Del resto è accertato che se questo processo di concentrazione delle imprese dovesse andare in porto, delle 6 multinazionali che oggi controllano il 63% del mercato sementifero globale e il 75% di quello dei pesticidi (Monsanto, Syngenta, Dow, Dupont, Bayer e Basf) soltanto due rimarranno a controllare più della metà dell’intero comparto agro-chimico mondiale.

Non solo, ma a rafforzare il ruolo di questa ristretta olocrazia alimentare si aggiungerebbe anche la politica praticata sui diritti di proprietà intellettuale per le nuove specie vegetali ed animali (OGM). Un affare, quest’ultimo, calcolato già nel 2013 a oltre un miliardo e mezzo di euro che viene peraltro alimentato da una collusa politica dell’Unione Europea il cui Ufficio competente (European Patent Office), sotto la pressione delle lobby multinazionali, continuerebbe ad approvare brevetti in disprezzo di quanto disposto dalla Direttiva 98/44/CE in tema di limitazione della brevettabilità delle specie vegetali ( fonte: Associazione Italiana Agricoltura Biologica). Una politica, quella dell’EPO, ovviamente condotta non a caso, dato che proprio i brevetti stanno oggi assumendo un’importanza strategica vieppiù rilevante in quanto strumentali ai fini della appropriazione di terre da parte delle grandi “corporate” del settore.

Ecco allora come si spiegherebbe la grande rivolta degli agricoltori europei. Edotti dell’inganno in cui i centri di potere di Bruxelles li hanno trascinati, oggi si ribellano e lo fanno con la coscienza e la determinazione di coloro che sanno di essere i veri custodi della sovranità alimentare. Una sovranità il cui rispetto è, e né potrebbe essere altrimenti, la condizione imprescindibile per sostenere tutto il processo produttivo di un Paese fino ad investire le forme più avanzate dell’industria 4.0.

Di fronte, quindi, alla prospettiva di una perdita di autonomia alimentare – che non si limiterebbe all’importazione dall’estero delle derrate, ma implicherebbe il rischio di una totale dipendenza del Paese dai poteri sovranazionali gestori del mercato –  ben vengano le proteste degli agricoltori, soggetti primari della catena produttiva alimentare ma ultimi, purtroppo, sul piano della redditività del loro lavoro. Sono loro dunque i nuovi vendicatori della sovranità nazionale. I veri sacerdoti di un processo di umanizzazione del mondo e della natura messo purtroppo a rischio oggi da screditate politiche iperliberiste di giovamento solo a quell’1% della popolazione mondiale detentore del 99% della ricchezza del Pianeta!

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