Giustizia giovanile e conflitti armati (prima parte)


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Dossier: Dietro la tenda dei campi profughi, viaggio di solo ritorno nei paesi di origine

Capitolo 1: Giustizia giovanile e conflitti armati (prima parte)

(Simona Planu) – Dopo 14 anni dall’invasione statunitense, l’Afghanistan è ancora lì,  fermo al 169 posto nella classifica dell’indice di sviluppo umano, posizionato in quella mezzaluna d’oro che continua ad alimentare il conflitto e ad alimentarsi dallo stesso. Secondo le stime dell’UNAMA sono 3545 i civili morti nel 2015 e il numero dei bambini uccisi è cresciuto del 14% rispetto al 2014. Per i giovani che hanno intrapreso un viaggio disperato verso l’Europa, l’Afghanistan non è più una casa, ma è un paese senza futuro.

Non sono dello stesso avviso i politici europei. Solo qualche giorno fa il segretario di stato, Theresa May, ha vinto la sua battaglia legale per il rimpatrio dei cittadini afghani. La preoccupazione riguarda soprattutto i minori non accompagnati richiedenti asilo che sono arrivati in Gran Bretagna, soli, pensando di trovare un luogo sicuro, ma che a soli 18 anni verranno rispediti nel proprio paese d’origine, con tutti i rischi derivanti dalla loro condizione di vulnerabilità.

Il 17 febbraio il rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Leila Zerrougui, al termine della sua missione in Afghanistan, è intervenuta sui temi della protezione dei minori nei paesi in conflitto e si è soffermata sul reclutamento dei bambini nelle forze armate e sulla condizione di reclusione. Il suo intervento ci riporta a una dimensione locale in cui l’emergenza dei conflitti ha lasciato spazio alla  normalizzazione di una realtà stabile, ma duratura. Ci si ritrova a fronteggiare conflittualità potenziali che esplodono laddove si stenta a riprendere una vita normale. Il risultato è un ambiente sociale dove la violenza è manifestazione della frammentazione politica e della lotta per il potere. Ma cosa succede quando a rendersi protagonisti di queste violenze sono dei bambini? E, soprattutto, in che modo la guerra influenza il destino dei giovani in conflitto con la legge?

La vastità delle problematiche connesse alla giustizia giovanile in zone di guerra impone, almeno, di approfondire i principali ostacoli vissuti durante il periodo di reclusione per un’ effettiva riabilitazione e recupero e le condizioni di contesto che limitano l’effettivo reintegro nella società e minacciano la sicurezza dei giovani di nuovo in libertà.

Quando si tratta di minori, una prima considerazione è la definizione relativa del concetto di vittima. In un contesto dove esiste un’autorità formalmente costituita, nel caso in cui i bambini vengono circuiti all’interno di gruppi armati o forze militari, considerare il minore che si scontra con il sistema di giustizia come una vittima costituirebbe il primo passo verso un percorso di riabilitazione del minore.  La realtà, invece, è spesso pregna del pregiudizio che qualifica il minore in reclusione come “soggetto irrecuperabile” e che considera le condizioni economiche e sociali come discriminante per un effettivo tentativo di reinserimento sociale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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